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lunedì 1 novembre 2010

Trebisacce-01/11/2010:La tartaruga di Derrida



La tartaruga di Derrida

La piazza era un anfiteatro naturale.
La gente, nella maggior parte donne anziane, avevano portate le sedie
da casa e le avevano predisposte, nel declivio del luogo, rivolte verso
il muro cui era appeso un lenzuolo bianco.
Iniziarono le sequenze del film e fu silenzio assoluto; solo il
fischio del vento che proveniva dalla “gripputura” e che agitava il
bianco lenzuolo animandolo, nella già euforia generale: i covoni biondi
del grano ti erano dinnanzi con i volti affaticati ma felici dei
contadini che si asciugavano i sudori con la manica della camicia, dopo
avere tracannato del vivo da un orciolo che passava di mano in mano.
Poi la scena si slargava in un’aperta campagna e vedevi casolari,
mucche al pascolo e sciami di insetti e fiori dove le api si fermavano
per succhiare il polline.
La gente, specie le vecchiette, ridevano felice e quasi contemplavano
la dura fatica che giornalmente le loro spalle doveva sopportare.
Anche qualche riso, sostenuto perché zittito dallo sguardo severo dei
genitori, di bambini animava la scena nella piazza.
Improvvisamente però il dramma: sferragliando tra nugolo di fumo nero
che la gente cercava di scacciare con le mani, apparve il treno che
avanzava dritto tra la folla; e le sedie si rovesciarono, la gente
tremava e correva cercando riparo.
La sequenza successiva mostrava il treno fermo nella stazione e volti
distesi e sereni che scendevano e abbracciavano i loro cari.
Ma in piazza non c’era nessuno, solo sconforto e desolazione come ci
fosse stato un uragano.
gianni mazzei

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