martedì 8 marzo 2011
Roma-08/03/2011:Il Petrolio nuova arma del futuro
Maurizio Compagnone
Il Petrolio nuova arma del futuro
Quanto influirà nelle strategie mondiali?
Con la fine della "Prima Guerra Mondiale" si è determinato un nuovo assetto geopolitico mondiale e in questo progetto strategico è entrato in gioco con decisione l’elemento "Petrolio", richiesto dalle grandi potenze in quantità sempre maggiore per il fabbisogno industriale.
La Gran Bretagna, grande potenza industriale e militare dell’epoca, ha anticipato tutti approfittando del crollo dell’Impero ottomano, insediandosi in Medio Oriente per il controllo dei ricchi pozzi petroliferi.
Così negli anni ’20, per invenzione dello Statista Churchill punzecchiato dalla grande Massoneria inglese accorpa tre grandi città di quell’area strategica, abitate da individui di diversa cultura Mosul, Bassora, e Baghdad dando vita ad un nuovo stato "l’Iraq" con l’intento di impossessarsi dei giacimenti della Mesopotamia.
In piena seconda guerra mondiale per l’impossibilità logistica di controllare ancora i territori, la Gran Bretagna lasciava gli enormi giacimenti in favore dei cugini "USA" nuova potenza dominante.
I nuovi invasori nel febbraio del ’45 stipulano un patto di ferro con la dinastia dei Saud, guadagnando il controllo degli immensi bacini di idrocarburi che si stendono sotto i deserti dell’Arabia Saudita.
Come la storia ci insegna nel mondo contemporaneo, potenza e petrolio sono, dunque, due identità strettamente interdipendenti, e gli "USA" pur di mantenere il controllo di quell’area ricca di giacimenti petroliferi, visto anche l’inaffidabilità mostrata da qualche decennio dalla monarchia di Riyad, non ha disdegnato di intervenire militarmente nell’Iraq di Saddam Hussein.
Gli "USA" con Roosevelt firmavano a bordo di un incrociatore ancorato nel Golfo un trattato con la famiglia Saud per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, una firma per il futuro, infatti se prima gli USA erano i primi esportatori di petrolio nel mondo, ora la valutazione degli analisti economici e militari era mutata e a questo aveva contribuito un attento studio della potenza bellica militare della Germania di Hitler.
Gli americani si erano resi conto che erano incorsi in un imperdonabile errore, ovvero che la Potenza è strettamente legata al fabbisogno di Petrolio, quindi gli USA non potevano continuare ad essere solo paese esportatore se volevano essere dominanti nel mondo, ma sopratutto importatori.
In pieno boom economico con industrie meccaniche che sfornavano centinaia di veicoli al giorno, la stessa Chicago per dichiarare al mondo il suo imponente sviluppo, aveva installato grossi tabelloni elettronici che conteggiavano il numero dei veicoli sfornati giornalmente dalle catene di montaggio della Ford e della GM, veicoli che si riversavano
sulle strade americane, oltre a ciò si aggiunge la corsa sfrenata all’acquisto di apparecchi elettrodomestici ancora sconosciuti dal resto del mondo in primis (frigoriferi, lavatrici, condizionatori), che di fatto facevano crescere la domanda di energia elettrica e di conseguenza le richieste di petrolio, tutto per ergersi a nazione dominante.
Ora quel futuro è arrivato, gli Usa sono diventati importatori anch’essi, e dipendono dai flussi petroliferi che le rotte marittime internazionali aprono verso i porti e le raffinerie americane e il Golfo è certamente un elemento essenziale con quel suo 65% di riserve petrolifere mondiali.
Il controllo del suo bacino garantisce agli USA approvvigionamenti continui e sicuri, ma nell’altra costa del Golfo c’è l’Iran, che a differenza degli sceiccati arabi, fornitori di petrolio degli USA e dei paesi europei occidentali, invia ben il 50% della sua produzione solo verso l’Europa, ben guardandosi di rifornire gli USA.
I tempi dello scià sono ormai dietro l’angolo quando l’america era il principale cliente Persiano. Con la caduta della monarchia e l’avvento di Khomeini i rubinetti per Washington si chiusero definitivamente, nel frattempo montò in tutto il paese una politica antiamericana che accusava gli Stati Uniti di «imperialismo» e «neocolonialismo».
Accuse ritornate attuali, con l’insediamento del nuovo Presidente venezuelano Chavez, nonostante il Venezuela invii verso le raffinerie degli Stati Uniti più del 40% delle proprie esportazioni e, coprendo con questi flussi il 15% delle importazioni americane totali di idrocarburi. La politica del Presidente venezuelano Chavez (il Venezuela non più un fantoccio a servizio degli USA) è un uomo di Stato in grado di impensierire i governi Usa nelle loro politiche di controllo delle riserve strategiche.
Washington sta provvedendo a un ulteriore diversificazione dei suoi approvvigionamenti, ma l’alleanza che il popolo venezuelano e quello iraniano hanno stipulato in una trentina di protocolli d’intesa, pur tanto distanti tra loro per dimensione geografica, cultura, tradizioni politiche e religiose, provoca problematiche nuove agli esperti di strategie della Casa Bianca, (anche perché l’Europa, alleata «naturale» degli Usa, ma molto sensibile a differenza dei suoi alleati alle sorti del Golfo, mette in campo tutto il suo potere per dare una stabilità definitiva al Medio Oriente e questo gli permette di essere cliente principale per l’importazione delle risorse petrolifere, necessari per i bisogni della propria economia: e il 45% di esportazioni petrolifere iraniane verso Italia, Germania, Francia eccetera è un potenziale di pressione politica che non va sottovalutata). Oramai lo scacchiere mondiale sta di fatto modificandosi, gli americani debbono misurarsi con la concorrenza che sovviene da ogni parte del mondo non ultimo la sete di petrolio della Cina che sta attraversando un periodo di grande crescita industriale. Anche l’orso russo dopo un letargo di un decennio, in linea con le metamorfosi climatiche del tempo, inizia a manifestare le sue ambizioni di recupero sulla grande potenza americana, tornando ad essere tra le due superpotenze.
Primo passo è stato il controllo dei suoi immensi giacimenti petroliferi e di gas. Anche la capacità di convincimento, di persuasione mostrata dagli USA verso gli altri paesi è venuta meno come ha affermato il Prof. Joseph Nye docente di Harvard tanto da averne coniato un termine ad hoc (il soft power, ma anche l’hard power). E persino una alleanza così
anomala come quella tra Ahmadinejad (Capo di stato Iraniano) e il suo amonimo Chávez del Venezuela sta creando nel governo americano attenzione e preoccupazione.
Le ultime vicissitudini di questi giorni che ha visto emergere in tutta la sua drammaticità la crisi libica ci preoccupano non poco visto anche la stretta vicinanza che ci lega al popolo libico non solo dal punto di vista geografico. Gheddafi nonostante la censura esercitata sui MEDIA non riesce a bloccare quelle immagini che studenti universitari sono riusciti a far trapelare dal Paese, grazie a Server di appoggio. Tutti abbiamo potuto assistere alla mistificazione della realtà che Raiset ci ha propinato in questo ultimo anno, legami stretti con la Libia suggellato anche da un baciamano, immagine che ha fatto il giro del mondo e ha preoccupato non poco il Governo Americano, si può accettare la visita ufficiale ma le esternazioni del nostro Premier sono andate oltre la decenza politica.
Un gesto che sarà la nostra macchia nel tempo.
Questo premier ci ha abituato a tante gaffe non si rende conto che il Paese non è una sua azienda e perdere credibilità in questo periodo di congiuntura economica è molto pericoloso, rischiamo di veder naufragare gli investimenti di operatori economici internazionali. Finalmente la diplomazia internazionale è intervenuta e una sorta di marcia indietro il Premier l’ha fatta. Ma Frattini non è il depositario del dicastero degli esteri, come mai la sua voce si è fatta sentire tardiva, forse sperava in un intervento dell’Europa a cui come Membri ci saremmo accodati? Possibile che il nostro Paese è restio a far sentire il suo Verbo? O meglio lo capiamo, gli interessi economici del nostro Premier collidono troppo nei rapporti personali con i Leader di Paesi canaglia, Bielorussia, Libia e Venezuela. Intanto il Mediterraneo si riempie di portaerei e di disperati che fuggono dai paesi del maghreb, e noi aspettiamo a prendere una decisione, sperando che altri decidano per noi, ma soprattutto a non provocare suscettibilità all’amico Putin.
Ci rendiamo conto che è in atto una crisi pericolosissima, lo scacchiere strategico militare è alle nostre porte, e all’unione europea poco interessa quello che accade nel mare nostrum, forse gli unici interessati sono le compagnie petrolifere BP e Total, ma loro possono contare su governi solidi e rispettati a livello internazionale.
Il mondo intero si augura che questo non debba presagire un nuovo intervento militare nell’area, questa volta però potrebbe essere tragica per il notevole arsenale bellico in possesso dell’Iran e dei suoi alleati in primis la Corea del Nord, senza dimenticare la Cina con forti interessi nell’aria. In tutto questo Israele non starà certo a guardare visto il potenziale di fuoco da cui si sente accerchiata.
L’augurio che ci facciamo è quello di poter vivere in un mondo di Pace, se ogni paese industrializzato riducesse i propri consumi possiamo ancora contare su grandi scorte di Petrolio, altresì con i ritmi attuali rischieremo presto di entrare in un periodo oscuro e di non ritorno.
di Maurizio Compagnone (Segretario Organizzativo)
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