15 TERRITORI IL MANIFESTO
02.10.2010
APERTURA | di Pasquale Golia, Silvio Messinetti - TREBISACCE (COSENZA)
altra italia LA CALABRIA TAGLIA LA SANITÀ
La rivolta DELLO JONIO
Il «piano di riordino» del presidente della Regione Scopelliti (Pdl) salva gli ospedali delle zone in mano al centrodestra e taglia quelli che votano centrosinistra. A Trebisacce esplode la protesta e i cittadini occupano la Statale jonica. «Se continua così ce ne andiamo con la Basilicata»
È un sarto bizzarro, Peppe Scopelliti. Per dirla tutta è un pessimo sarto. Perché lui taglia a corrente alternata. Nel senso di fazione, di bottega politica, seguendo logiche di piccolo cabotaggio. Accade così che nel "Piano di rientro sanitario" messo a punto dal presidente della Regione Calabria alcuni ospedali vengano tagliati e altri no. E per capire quali bastava assistere alla presentazione del Piano avvenuta a Catanzaro il 29 settembre. E scorgere raggianti in prima fila il senatore Giovanni Dima (Pdl) e il consigliere regionale Giovanni Caputo (Pdl). Mancava la sindaca di Corigliano Calabro, Pasqualina Straface (Pdl), rimasta a casa a meditare sulla commissione d'accesso antimafia appena insediatasi nella città jonica, e il quadro di famiglia sarebbe stato completo.
Perché caso vuole, per usare un eufemismo, che tra i presidi ospedalieri che non verranno toccati dal "riordino" sanitario non figurino nè l'ospedale di Rossano (collegio elettorale di Caputo che è anche aspirante sindaco alle Comunali 2011) nè quello di Corigliano (dove il senatore Dima pesca storicamente i voti). Ad essere "sforbiciati" saranno, invece, gli ospedali di città non governate dalla destra come Cariati e Trebisacce. Complessivamente parliamo di un territorio di oltre 250mila abitanti e 17 comuni (11 dei quali montani). Che non ci stanno e, infatti, si ribellano.
«Possono toglierci tutto ma non il diritto alla vita - grida una ragazza sulla carreggiata della Jonica - e per noi l'ospedale è vita». È una delle tante voci disperate che si levano nel pieno della protesta. Sette giorni di blocchi stradali, sedici sindaci che si dimettono in blocco e financo la richiesta, formalmente inoltrata, di indire un referendum per l'annessione alla confinante Basilicata. Quello che ha prodotto il "Piano Scopelliti" è finora un'insurrezione non cruenta di un intero popolo. Che lotta con tutte le sue forze contro un progetto che di fatto azzera i livelli minimi di assistenza sanitaria nell'Alto e nel Basso Jonio cosentino.
Una protesta a due gambe nel raggio di poche decine di chilometri e lungo la stessa arteria che si affaccia sullo Jonio.
L'ultima notte
L'azzurro del mare è illuminato da uno splendido sole rossiccio. È l'ultima alba di una protesta che va avanti da una settimana ormai. Sette lunghi giorni e notti in cui la famigerata "strada della morte" si è trasformata nella via del riscatto di una collettività che si sente tradita dallo Stato e abbandonata dalle istituzioni. Centinaia di manifestanti sono rimasti tutta la notte a presidiare i blocchi. Molti giovani, tanti lavoratori di quell'ospedale, il "Guido Chidichimo", che si vorrebbe chiudere ed anche qualcuno che grazie all'ospedale continua a vivere. «Un anno fa - spiega uno di questi - sono stato colpito da infarto. Io abito in un piccolo paesino montano e per giungere qui a Trebisacce ho impiegato quaranta minuti. Un altro infarto mi ha colpito dopo un'ora quando ero già in reparto. Se non ci fosse stato l'ospedale di Trebisacce, l'altro infarto mi avrebbe colto per strada. Infatti l'ospedale di Corigliano dista dal mio paese cinquanta chilometri e per giungervi è necessario circa un'ora e venti. Ecco perché per sette notti sono rimasto a presidiare il blocco. È una battaglia di civiltà. Adesso il prefetto ci ha imposto di sgomberare. Noi lo faremo ma di sicuro non molliamo». Nel mentre un buon odore di caffè si diffonde lungo l'accampamento. Ed è un rituale che si ripete da una settimana con la gente di Trebisacce che porta la colazione a quelli che passano la notte al presidio. Ma stamane è il momento di smobilitare. Negli occhi e nelle orecchie le immagini di una infuocata assemblea nella quale si è deciso di sottostare all'ordinanza di sgombero emessa dal prefetto di Cosenza. «Questo è solo il primo tempo di una lotta durissima - ribatte Franco Mundo, consigliere provinciale del Ps - è in atto una battaglia di civiltà. La riorganizzazione ospedaliera proposta da Scopelliti è lesiva dei diritti di un intero popolo perché è inammissibile che nell'arco di cento chilometri non vi sia nessun ospedale. Così facendo la sibaritide farà un salto all'indietro di cinquant'anni»
La carta delle dimissioni
Ed ora, nel braccio di ferro con Scopelliti, i sindaci giocano la carta delle dimissioni. Un gesto politico forte, dopo l'ennesimo rifiuto al dialogo del presidente della regione. Sedici sindaci hanno rassegnato il mandato nelle mani del prefetto. «Speriamo che almeno così avremo delle risposte per i cittadini - esclama Mariano Bianchi (Pd), il sindaco di Trebisacce, il primo a dimettersi - e non sono dimissioni simboliche ma un atto forte che avrà delle conseguenze. Trascorsi venti giorni, infatti, senza che queste siano ritirate, dovranno essere indette nuove elezioni e dovranno giungere sedici commissari prefettizi e forse la prefettura andrà in affanno. Questo era un atto necessario».
Nel mentre è stato chiesto un incontro istituzionale al presidente della Regione Basilicata, Mario De Filippo. Quella che sembrava un'idea folle, sarà un atto concreto. Nei prossimi giorni nei sedici consigli comunali verrà approvata una delibera per avviare un referendum per il cambio di regione. «Se la Calabria ci emargina vuol dire che non ci vuole. Questo comprensorio subisce da anni una spoliazione sistematica di presidi indispensabili alla sua crescita e questo ulteriore scippo colma la misura» spiegano all'unisono i sedici sindaci.
Il grande affare della sanità calabrese
La manovra economica prevede un risparmio di 260 milioni di euro nella sanità. La Regione ha presentato il blocco del turnover nel 2010 e nel 2011. E, quel che è più grave, ha paventato la chiusura in blocco di alcuni ospedali. Entro il 31 dicembre saranno messi i sigilli a cinque istituti, mentre altri saranno riconvertiti in Case della salute e messi in sicurezza. Trebisacce è nella maledetta cinquina. Scopelliti, bontà sua, vorrebbe mantenervi solo una postazione del 118. Via i reparti di cardiologia, dialisi e medicina. Stessa sorte per Cariati, che potrebbe essere riconvertito in Casa della salute. Ma anche qui, nel Basso Jonio cosentino, al confine col crotonese, i cittadini hanno dissotterrato l'ascia di guerra e si sono mobilitati a difesa dell'ospedale "Mario Cosentino": quattromila persone in corteo e picchettaggio della Jonica. Contro lo smantellamento del presidio ospedaliero e per il diritto alla salute costituzionalmente sancito.
Scopelliti fa orecchie da mercante e tira dritto per la sua strada. D'altronde la sanità in Calabria è, assieme alla monnezza, il grande affare su cui mettere le mani. I numeri parlano chiaro: due milioni di assistiti, 39 ospedali pubblici, di cui 36 fatiscenti che non rispondono alle basilari norme igienico-sanitarie; due miliardi e mezzo di deficit accumulato, con macroscopiche storture come quella di Palmi con 32 dirigenti a fronte di una struttura con soli 20 posti letto disponibili. Una miniera di soldi, la sanità. Che riempie le tasche del potente di turno: come lo scandalo di Villa Ania che coinvolse l'onorevole Mimmo Crea, quello condannato per l'omicidio Fortugno.
Lo sa bene Scopelliti che nemmeno un mese fa ha stretto un accordo con l'Aiop, l'associazione delle cliniche private, che prevede la riorganizzazione del sistema sanitario calabrese attraverso un rilancio delle strutture private convenzionate. Si chiude, così, il pubblico per aprire le porte al privato. E per far ciò Scopelliti martedì scorso si è imbarcato sul primo volo per Milano. Andava ad incontrare il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. Per prendere da lui lezioni di sanità privata.
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