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sabato 26 novembre 2011

Trebisacce-26/11/2011: Il Posizionismo-di Gianni Mazzei

Il Posizionismo
Il grande bluff dell'arte contemporanea



Si racconta un aneddoto relativo al regista francese Francoise Trouffaurt. Sembra che, intervistato intorno al senso che dovrebbe avere un film, un giorno egli abbia risposto: “Se devo esprimere un messaggio, mando un telegramma, non faccio un film”. Gianni Mazzei, invece, è del parere opposto. Egli attribuisce notevole rilievo al senso, al significato, al messaggio, al contenuto dell’arte. E lo fa a tal punto da coniare una nuova espressione (sia pure per un confronto in negativo con essa): il “Posizioniamo”. Cosa sarebbe tale “Posizioniamo”? In sostanza è la relazione, il rapporto, il contatto tra immaginazione e generalità, tra particolare e universale, tra emittente e destinatario. Un rapporto che avviene sempre in un “luogo” particolare che è, anche questo sempre, il luogo della vera arte. Per Mazzei viviamo tempi bui. Tempi in cui la vera arte è stata dimenticata. Tempi in cui non c’è gusto, non c’è esperienza estetica, non c’è critica nè originalità artistica. Quello che manca è il riferimento a questo senso perduto, al “messaggio” di cui parlava Trouffaurt. Un “messaggio” da trovarsi innervato al confine di intenzionalità ed espressività, di idea e parola, di istinto e ragione. Siamo nella zona del chiaroscuro, delle mezze tinte, delle verità non definitive. Ma ciò non vuol dire che siamo in un luogo del quale non si può parlare. O che ci troviamo in un luogo che non sia fertile. Si sa che l’arte non è solo concetto. Come, altrettanto bene, si sa che l’arte non è solo immagine. Mazzei proprio questo afferma. Dobbiamo ricercare un’ espressione artistica che sia a metà strada tra intelligenza ed emozione, tra perfetta enucleazione di contenuti e vibrante partecipazione affettiva. Nel tracciare la sua diagnosi l’autore non può che fare presente i limiti e le manchevolezze dell’arte contemporanea (che è proprio quella che egli si trova davanti). Con sagaci “pennellate” da storico dell’arte e da cultore della filosofia, Mazze disegna un percorso che dalla considerazione analitica della temperie odierna ci porta verso il dispiegamento di un’idea dell’arte come connubio inscindibile di forma e materia. Attraverso la disamina delle caratteristiche più retrive della situazione attuale, Mazzei ci conduce, quindi, alla valutazione esatta di quello che l’arte “dovrebbe essere”. Tutto il suo discorso quindi si situa al confine tra l’estetica, la metafisica e la filosofia morale. In una zona d’ombra ( perché di ombre qui si tratta) nella quale i concetti si prendono a braccetto con le emozioni, nella quale i sentimenti sgorgano dalla stessa sorgente della razionalità, nella quale l’atto di visione estetica diventa atto di visione estatica non trascurando, epistemologicamente parlando, di fare riferimento alle componenti di base che costituiscono la mente umana. Quale arte dunque? Perché l’arte contemporanea è quello che è ? Cosa significano queste performance e queste installazioni che dominano oggi il paesaggio della creazione stilistica e metodica? Sono queste tutte le domande alle quali il saggio di Mazzei, distintamente, risponde. Perché si è verificata questa condizione di “Posizioniamo”? E’ superabile? Ontologicamente in quale stato si colloca tale “Posizioniamo”? Sono queste altrettante domande che il saggio di Mazzei pone e fa venire in mente al lettore. In definitiva, l’arte contemporanea, per Mazzei, parte già avendo una direzione, un tragitto da compiere, una strada da camminare. Non è arte completamente libera, nè per i critici, nè per gli artisti, nè per i fruitori. E’ invece un’arte già completamente rivolta ad uno scopo, già immessa verso un luogo che dovrà percorrere e traversare. Questa perdita di libertà corrisponde alla “posizione” che l’arte stessa, del pari, non dovrebbe possedere. L’unica “posizione” possibile del resto dovrebbe altrimenti essere quella dell’intenzionalità dell’autore e dell’espressione cui lo stesso autore giunge e delinea. Mancando tutti questi elementi, quest’arte già di per sè “incanalata”, non fa che “posizionarsi” lungo direttrici consuete, strade già battute, luoghi da lungo tempo oramai esplorati. Dalla mancanza di libertà al conformismo il passo è davvero breve! Mazzei lega tutto questi elemento al concetto di “utilità” di origine sofistica. In sostanza dovremmo chiederci a questo punto: l’arte serve a qualcosa? A che serve l’arte? Chi ne giova? La verità di Mazzei è però un’altra. Non un arte “posizionata” ma un arte finalmente libera. Libera evidentemente di condursi nel proprio interfaccia (tra ragione e sentimento) che la fa essere veramente espressione sempre di un particolare che, poi, attraverso appunto l’arte diventa un generale. Che la “libertà” sia trovata da Gianni Mazzei solamente in questa area mediana la dice certamente lunga sia sulla situazione politica attuale che, più globalmente, sulla deriva del raziocinio che ha avuto inizio da quando è stata ribadita a piena voce la piena autorevolezza di una soggettività del tutto emancipata dall’universale.




Gianfranco Cordì

Dottore di Ricerca in “Pensiero Politico e Istituzioni nelle Società Mediterranee”

Università degli Studi di Catania

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