giovedì 23 dicembre 2010
Equador-23/12/2010:RADDRIZZARE IL NATALE
RADDRIZZARE IL NATALE
Anno 1 D.C: il Natale ribalta e cancella il calendario imperiale
“In che anno nacque Gesù?”. Così domandai al gruppo dei Missionari afroecuadoriani di Guayaquil, che mi guardarono stupiti e perlessi, e non risposero. “Gesù nacque nell’anno 754”, dissi io. Quando nacque Gesù, infatti, erano passati 754 anni dalla fondazione di Roma, e in tutte le province dell’Impero romano gli anni si calcolavano a partire da quell’avvenimento. In altre parole, era l’Impero a fissare il calendario e a dettarne i criteri: il punto di riferimento del calendario imperiale era Romolo, cioè la forza, la cultura e la violenza di Roma.
Ma dopo la Resurrezione le popolazioni mediterranee adottarono un nuovo calendario, contando gli anni a partire dal Natale, dalla nascita di Gesù. Tutto ciò ha dell’incredibile: per l’Impero Gesù era un essere insignificante, uno dei tanti crocifissi condannati a morte in una provincia periferica. Nessuno avrebbe immaginato che questo povero crocifisso avrebbe ribaltato – o meglio, cancellato - il calendario imperiale: l’anno 754 dell’era imperiale divenne l’anno primo dell’era cristiana. ‘Cristiano’ significa ‘messianico’: creare un nuovo calendario significava voler inaugurare un tempo nuovo, il cui punto di riferimento sarebbe stato Gesù. Vivere nell’epoca dopo-Cristo, dunque, significa vivere nell’era messianica. Il Natale è l’inizio di questa era: celebrare il Natale significa credere che a partire da questo avvenimento è nata una nuova epoca in cui finalmente si compiono le promesse messianiche e si mettono in pratica gli insegnamenti di Cristo.
Anno 2010: Il Natale ribaltato Ritornato da poco dalla missione in Ecuador, sono stato stupito, quest’estate, quand’ho sentito Marchionne, l’Amministratore Delegato della Fiat, dichiarare che adesso siamo entrati “nell’era dopo Cristo”. In realtá, nell’era dopo Cristo ci entrammo 2.000 anni fa: cosa avrá voluto dire dunque Marchionne con questa frase?
Leggendo e informandomi, ho riflettuto su alcune cose che vorrei condividere con voi. Finora, per noi cristiani l’espressione ‘dopo Cristo’ ha sempre avuto questo inequivocabile significato: dopo la nascita e resurrezione di Cristo, circa duemila anni fa, é iniziato il tempo di Cristo, cioé é iniziata una nuova fase della storia in cui siamo chiamati a mettere in pratica il Vangelo di “giustizia, pace e allegria” (Rm14,17) annunciato da Gesù.
Dicendo, a duemila anni di distanza dalla sua nascita, che adesso siamo entrati nell’era dopo Cristo, Marchionne in realtà propone una nuova periodizzazione della storia: dall’anno 1 all’anno 2.000 é stato il periodo dopo la nascita di Cristo, cioè il tempo di Cristo, il periodo in cui – almeno sulla carta – si credevano e si professavano valori cristiani; mentre adesso, dopo l’anno 2.000 – o dopo l’anno 2010 - siamo in una nuova era: ‘dopo-Cristo’ adesso significa dopo il tempo di Cristo, dopo il cristianesimo. Siamo nell’epoca post-cristiana: i valori cristiani in cui abbiamo creduto per tanti anni – giustizia, equitá, fraternitá, etc. - adesso non valgono piú. Il significato dell’espressione ‘dopo-Cristo’, dunque, è completamente ribaltato e il messaggio del Natale viene snaturato.
E cosí, non c’é da meravigliarsi se il ministro Tremonti ha detto che bisognerá rivedere le leggi sulla sicurezza nel lavoro, spiegando che “una certa quantità di diritti e regole è un lusso che non ci possiamo più permettere”. Come dire: nell’era post-cristiana, di fronte alla lotta tra giganti economici, il profitto e la produzione vale piú della sicurezza e della vita dei lavoratori; chi si intestardisce nostalgicamente in questi certi antiquati dell’era cristiana é condannato a perdere la battaglia dell’economia globalizzata.
A scanso di equivoci, Tremonti ha specificato che “il rischio è di avere i diritti perfetti, ma la fabbrica poi va da un’altra parte". Come dire: dobbiamo scegliere tra lavoro e legalità, tra la produzione e la tutela dei diritti dei lavoratori. Vogliono farci credere che le due cose - nell’era postcristiana – sono incompatibili, e che la situazione è senza rimedio, perché cosí va il mondo. Ed é logico, conclude Tremonti, che “non è il mondo che si può adeguare all’Europa e all’Italia, ma è l'’Italia che si deve adeguare al mondo".
Interpretata in un certo modo, questa sarebbe una frase bellissima, profondamente missionaria e ‘rivoluzionaria’: l’Italia e i suoi interessi immediati non possono essere il criterio assoluto della nostra vita: dobbiamo ascoltare il mondo, adeguarci al mondo, e fare i conti con i problemi, i diritti e le speranze degli altri popoli. Purtroppo, peró, non era questo che voleva dire il ministro: Tremonti ha detto chiaramente che il ‘mondo’ cui dobbiamo adeguarci é quello che pensa che é necessario rinunciare ai diritti per mantenere le fabbriche. A quale ‘mondo ‘ si riferisce, dunque?
Evidentemente al mondo delle agenzie finanziarie trasnazionali e delle leggi economiche dettate dagli interessi di piccole elites. Ma questo ‘mondo’ non é il vero mondo. Il vero mondo é quello in cui ci sono risorse per tutti ma poi molti muoiono di fame; il vero mondo è quello in cui la ricchezza cresce, ma si concentra sempre più nelle mani di pochi. Si tratta di una realtá oggettiva e non ideologica: sul pianeta ci sono risorse sufficienti per garantire a tutti una vita dignitosa, il problema é che queste ricchezze non sono distribuite in maniera equa.
Ci vogliono far credere che il vero mondo é il mondo delle regole dettate da uomini senza scrupoli, e questo mondo lo chiamano ‘globalizzazione’, e ci vogliono convincere che chi mette in discussione queste regole ciniche va contro il ‘mondo’, contro la ‘storia’, contro la ‘realtá’. Questa, dunque, é la sapienza e il pensiero del mondo oggigiorno: ‘É inevitabile che i lavoratori – donne e uomini, figli di Dio – non potranno piú godere di certi diritti fondamentali: sará necessario accettare ritmi di lavoro disumani, mancanza di misure di sicurezza, etc. E sará assurdo mettere in discussione questa necessità, perché questo è il mondo in cui viviamo’.
Come cristiani dobbiamo dire ‘no’ a questa ‘sapienza’ – che é stoltezza agli occhi di Dio (1Co 1,20-29) – e ribadire con fede che anche nel terzo millennio sará possibile vivere umanamente, secondo principi di giustizia e fraternità. Se non siamo vigilanti, se non ci afferriamo alla Parola di Dio, potremmo anche noi cadere nella trappola di credere che non c’é alternativa a questo ‘mondo’, e che questa é la tendenza globale cui anche l’Italia – e forse anche Dio - deve adeguarsi. Insomma, che la smetta Dio di continuare a parlarci dalle pagine del Vangelo di fraternità e giustizia, e che sia un po’ più realista e meno pretenzioso, che si adegui un po’ al mondo anche Lui, che capisca che adesso i tempi sono cambiati!
Il ‘pensiero di Cristo’ Di fatto, lasciati soli alle nostre forze, ciascuno di noi si arrenderebbe presto a questa logica: quando tutti i ‘sapienti’ ti dicono che l’ingiustizia é inevitabile, e che prima ci adeguiamo meglio è, sennò dopo sarà ancora peggio, uno pensa che non c’è proprio più niente da fare.
Come dice san Paolo, “L’uomo, lasciato alle sue forze, non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui...” (1Co 2,14). Cioé, chi segue ciecamente la ‘sapienza’ del mondo – secondo cui dobbiamo abituarci alla disumanitá come condizione normale della vita nel terzo millennio – non puó comprendere che lo Spirito ha un altro progetto, e che questo progetto é fattibile.
“Abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere ció che Dio ci ha donato” (1Co 2,12), ci dice ancora san Paolo. E cos’é che Dio ci ha donato? Ci ha donato intelligenza e creativitá sufficiente per giudicare e per immaginare altre vie e altre soluzioni, ma soprattutto ci ha donato il “pensiero di Cristo”: “Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Co 2,16).
Per il mondo questo pensiero é follia, ma noi non possiamo rinunciarvi, perché se rinunciamo al “pensiero di Cristo” e ci adeguiamo allo “spirito del mondo” (1Co 2,12), a cosa serve la comunitá cristiana? Senza “pensiero di Cristo” non c’é Chiesa e non c’é cristianesimo. E il pensiero di Cristo é giustizia, fraternitá, condivisione di risorse e ricchezze. Davvero, se non adottiamo il pensiero di Cristo, non ci sará nessun futuro umano per l’umanitá.
Ovviamente, ció non significa che non si debba accettare nessun cambiamento nel nostro stile di vita, o che non si debbano ridefinire i rapporti Nord-Sud, o che ci si debba opporre a qualsiasi tipo di sacrificio, ma tutto questo va fatto in uno spirito di dialogo, giustizia e rispetto della dignitá di tutti. Anche i sacrifici – probabilmente necessari – vanno però condivisi con giustizia.
Tanto per fare un esempio, come cristiani non possiamo rimanere indifferenti alle scandalose disparità salariali tra dirigenti e operai. Negli anni ’50 l’Amministratore Delegato della Fiat prendeva venti volte tanto quello che prendeva un dipendente medio. Adesso, invece, l’attuale Amministratore Delegato guadagna 350 volte tanto lo stipendio di un operaio specializzato. Qualcuno potrebbe obiettare che non è riducendo lo stipendio dei dirigenti che si risolverebbero tutti i problemi. Ed è vero, non si risolverebbero tutti i problemi, ma una parte del problema sì: ci sono molte famiglie, anche in Italia, che letteralmente non riescono ad arrivare alla fine del mese. Inoltre, non dimentichiamo le parole dell’Apostolo:“Non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza”(2Co8,13). Certamente san Paolo non vuole promuovere un egualitarismo integralista, ma la lotta contro tante disparità scandalose dovrebbe scaturire naturalmente dal cuore del discepolo di Cristo. Il fatto che nessuna ingiustizia riesca più a scandalizzarci la dice lunga su quanto ci siamo allontanati dal Vangelo e da Gesù, e di come abbiamo ridotto il cristianesimo a una innocua devozione intimista!
Una sfida ineliminabile Si apre dunque una grande sfida missionaria, ineliminabile per la comunitá cristiana: ci vergognamo del “pensiero di Cristo”, lo consideriamo solo una bella utopia di un’epoca giá passata, una specie di reliquia archeologica, o lo riteniamo invece l’unica via realistica per “rendere piú umano questo frammento di storia che ci é stato dato da vivere” (Pierluigi di Piazza)?
Ci dice ancora san Paolo: “L’uomo mosso dallo Spirito giudica ogni cosa” (1Co 2,15). Il “pensiero di Cristo” ti permette di giudicare, discernere e mettere in discussione “ogni cosa”, anche ció che il ‘mondo’ ti presenta come realtá ineluttabile e come veritá indiscutibile.
Preghiamo dunque Dio che ci doni il pensiero di Cristo, che sappiamo analizzare la realtá alla luce di questo pensiero, e che grazie a questo pensiero riusciamo a trovare nuove soluzioni, e aprire nuovi sentieri d’umanitá anche laddove sembrerebbe non esserci nessuna via d’uscita.
Raddrizzare il Natale In altre parole, di fronte a chi vorrebbe capovolgere e cancellare la rivoluzione che Dio iniziò a Betlemme, siamo chiamati a ‘raddrizzare il Natale’, recuperando la radicalità del messaggio di Cristo, secondo cui dobbiamo rispettare la dignità della vita di tutti i suoi figli, una dignità che oggi, molto spesso, viene calpestata nel mondo del lavoro.
Come ci ricorda Eduardo Galeano, infatti, nell’industria postmoderna il lavoro non è più concentrato, perchè tutte le compagnie – pur di risparmiare sui costi - si rivolgono a contrattisti senza scrupoli per fabbricare parti del loro prodotto finale. E così, degli 81 operai di Petrobras morti in incidenti di lavoro tra il 1998 e il 2001, 66 erano al servizio di contrattisti che non seguono le norme di sicurezza. Ma Petrobras se ne lava le mani e dice: “Io non c’entro, la colpa è dei contrattisti”. E così non si fa niente per porre rimedio a questa situazione.
E questo non succede solo in Brasile: nove su dieci ‘lavori’ in tutta l’America Latina appartengono al “settore informale”, un’espressione eufemistica che si usa quando non c’è nessun impegno verso i lavoratori. E allora, si domanda Galeano, “i diritti dei lavoratori saranno forse fra un po’ un semplice tema di studio per gli archeologi?” .
E ancora, quando nel 2000 licenziò migliaia di lavoratori, il presidente della Coca-cola disse che finalmente “aveva eliminato gli ostacoli interni”. Ci abitueremo dunque a considerare tanti esseri umani come ‘ostacoli da eliminare’?
Il messaggio rivoluzionario del Natale consiste proprio in questo: che ogni essere umano è figlio e fratello di Dio, e che non c’è nulla più importante dell’essere umano e dell’ambiente in cui vive, nemmeno il mercato e nemmeno i profitti della Coca-Cola. E quindi tutto – l’economia, la politica, la società – è al servizio della dignità umana di ogni uomo e ogni donna.
Il vero coraggio Raddrizzare il Natale, dunque, significa rimettere il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo – cioè Dio e l’uomo - al primo posto, e avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome.
Come faceva recentemente notare un giornalista, oggigiorno si parla molto della necessità di fare ‘scelte coraggiose’ in relazione ai diritti dei lavoratori. In quest’ottica, si esalta e si promuove il ‘coraggio’ di limitare o eliminare le conquiste sindacali, cioè il ‘coraggio’ di schiacciare i più deboli, il ‘coraggio’ di calpestare i diritti umani, il ‘coraggio’ di essere ingordi e di accumulare sempre più ricchezza nelle mani di pochi. Ebbene, come cristiani, dobbiamo gridare con forza che ciò che il mondo definisce ‘coraggio’ per noi è solo vigliaccheria e violenza. Il vero coraggio è quello di chi – remando controcorrente – è disposto a raddrizzare il Natale, cioè a mettersi dalla parte dei più deboli, a difendere i diritti umani e a vivere e promuovere la condivisione, la solidarietà e la giustizia.
Buon Natale! Questa breve frase di augurio, anche se noi tante volte la usiamo come formula scontata, ha un significato profondo. Buon Natale! significa: ‘Che bello che Dio dia dignità e valore ad ogni vita umana! Anche se sei disprezzato ed emarginato, la tua vita ha un senso ed è importante, perchè Dio si è fatto uomo per te, per ognuno di noi’. Preghiamo perchè Gesù ci dia il coraggio di salvare il Natale, e perchè questo augurio possa continuare a scaldare il cuore di tanta gente!
Fr. Alberto Degan Missioniario in Equador
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