
Pina Basile
SAN FRANCESCO DI PAOLA A FIRENZE
Dal mese di settembre duemilanove, ho sul mio tavolo un libro come una delle cose più care:
semplice nello stile, completo nell’informazione. Sì, un libro scritto con amore. Accade raramente,
ma questa volta è accaduto. Un libro semplice, ma colto: "S. Francesco di Paola e il suo tempo" di
Pina Basile. Ad un calabrese, come me, che sta a Firenze vengono subito alla mente La chiesa di San Francesco di Paola, la corrispondenza del Frate calabrese (1416 -1498) con il domenicano Girolamo Savonarola (1452 -1498) e la presenza dei Minimi a Firenze.
Per iniziativa di Bianca Cappello, granduchessa di Toscana, i Minimi di San Francesco di Paola
arrivano in città nel febbraio del 1583 e sono ospitati nel convento della Chiesa di San Giuseppe,
nei pressi di Santa Croce. Restano a testimoniare la presenza dei frati e del culto del Santo, in questa
Chiesa, i dipinti di Francesco Bianchi Buonavita (sec. XVII), che raffigurano episodi della vita di
San Francesco e gli affreschi di Sigismondo Betti (Apoteosi di San Francesco di Paola) del secolo
successivo. La stessa Bianca Cappello sollecita nel 1584 l’arcivescovo di Firenze, Alessandro de’
Medici, per la costruzione della chiesa di San Francesco di Paola, con annesso il monastero dei
Minimi, ma la costruzione comincia solo cinque anni dopo, nel 1589, in seguito alla donazione di
un terreno da parte di Alessandro Camillo Strozzi, situato in uno dei colli più famosi di Firenze,
cioè la ridente collina di Bellosguardo, dove questa mattina, 19 gennaio 2010, mi sono recato per
una passeggiata: in piazza è una lapide che ricorda personaggi noti della letteratura, della scienza,
della filosofia, dell’arte che hanno soggiornato nella villa. Anche Garibaldi nella casa accanto. Qui
intorno sono anche i monasteri di Monticelli e di Monteoliveto. La chiesa terminata intorno al 1650
subisce, nel tempo, diversi interventi e modificazioni, l’ultimo negli anni 1997 -2006. I Frati
Minimi abitano il convento e officiano la chiesa fino alla soppressione del 1782, voluta dal
Granduca di Toscana Pietro Leopoldo. Le sue riforme riguardano tutti i campi della società civile e
non è indifferente a quella religiosa. Sopprime gli ordini religiosi non ritenuti di pubblica utilità
sociale e i loro beni, spesso, devoluti alle parrocchie. Toglie l’istruzione al clero e istituisce scuole
pubbliche che da lui prendono il nome. Riordina l’istruzione di ogni ordine e grado. Attualmente, la
chiesa di San Francesco di Paola, al tempo della soppressione del convento passata a culto privato
dei proprietari dell’ex-convento, fa parte della diocesi e ha funzione parrocchiale assieme alla
vicina e antica chiesa dei santi Vito e Modesto le cui origini risalgono al X secolo. Il monastero,
invece, acquistato l’anno dopo la soppressione dal senatore Giovanni Federighi e ridotto a villa è
trasformato ad abitazioni private e nell’ingresso del giardino è posta la statua di San Francesco
(1695) di Giuseppe Piamontini, una volta nella piazza antistante la chiesa. Nel 1874 la villa passa
allo scultore Adolf Hildebrand e poi ai suoi eredi (1). Anche la chiesa di San Giuseppe, certamente
con dispiacere della Compagnia di San Giuseppe, passa ai Frati Minimi, probabilmente nel 1519,
anno in cui è stata ultimata. Si è accennato ad alcune opere d’arte che ritraggono san Francesco di
Paola nella Chiesa di San Giuseppe, altre ve ne sono nella Chiesa di San Francesco in Piazza San
Francesco di Paola: Storie di San Francesco di Paola di Domenico Predellini, Antonio Pillori e
Ignazio Hugford. Ritratto naturale di San Francesco di Paola di ignoto(1602); San Francesco fa
stillare sangue da una moneta, San Francesco di Paola risuscita tre fanciulli di Giuseppe Moriani
(1716). Ma in questa chiesa si trova, tra altre opere su San Francesco, anche l’affresco Madonna del
Parto di Taddeo Gaddi (1300 -1366), allievo di Giotto, proveniente dall’ex-chiesa San Pier
Maggiore, qui trasferito nel 1785 (2). San Francesco parte dalla Calabria, per la Francia, nel 1483 e
nel centenario della sua partenza i suoi frati arrivano a Firenze. Sempre nel 1483 fu “a Roma dal
Papa per ricevere la santa benedizione, e rifiutò per umiltà la dignità del sacerdozio; in Vaticano,
nel baciare la mano del cardinale Giuliano della Rovere, rivolto al Papa disse:
Roma incontra anche Lorenzo de’ Medici e al figlio Giovanni predice: “Quando voi sarete papa io
sarò santo”(ivi). E’ fatto santo nel 1519 da Leone X, cioè Giovanni de’ Medici, eletto papa nel
1513. Il 30 agosto dello stesso anno muore Luigi XI, re di Francia: “non ottenne la guarigione del
corpo, ma la conversione a Dio e il conforto in punto di morte del Santo” (p. 51). Dopo queste
profezie, vediamo che cosa San Francesco di Paola dice di Girolamo Savonarola.
Molto si è discusso sull’autenticità delle lettere: il carteggio consta di tre lettere in tutto. Ma ormai si può dire che i dubbi sono stati fugati. Pina Basile riporta la prima lettera, che è anche la più importante,
datata 4 settembre 1479. Le altre due sono di circa due anni dopo e, in qualche modo, riecheggiano
la prima. Arturo Scaltriti scrive: “molto simile a San Francesco di Paola, Savonarola prediligerà
costantemente l’eremo del suo cuore, ove contemplare le cose di Dio da trasmettere alle anime a
tempo opportuno” (3). Certamente, tutti e due hanno donato la loro vita all’amore di Dio e al suo
Vangelo. Diversi nel metodo. Concorda nella sostanza di questo giudizio anche Pina Basile,
studiosa attenta: “Per otto anni (1490 – 1498) il Savonarola fu l’uomo più ascoltato e più autorevole
di Firenze. Girolamo Savonarola e Francesco di Paola, due frati coevi, che si trovano d’accordo sui
dogmi e sul contemptus mundi. Il Paolano apprezzò le piccole benedizioni che la vita gli offriva,
attraverso l’ubbidienza, la castità, la povertà e la penitenza. Lottò contro la corruzione della Chiesa
e il dispotismo dei regnanti con la preghiera e con la penitenza, aiutando poveri e potenti con il
dono del miracolo. Il Ferrarese usò l’eloquenza come arma per combattere la corruzione
istituzionale e morale; osò contrastare e disubbidire il Papa! Fu intransigente, intemperante,
eccessivo, ma non eretico; fu un ribelle: Tu credi, Roma, di farmi paura: io non ho paura nessuna”
(p. 77). Il papa Alessandro VI lo scomunica. Fu un torto quello di non ubbidire al Papa? Se si
guarda all’ordine gerarchico-istituzionale direi di sì, ma Savonarola ha dentro il suo cuore la voce
del Vangelo e di fronte a sé la corruzione del mondo civile e religioso. Il voto di ubbidienza di
fronte al padre di Lucrezia Borgia e del fratello Cesare ha ancora valore? Ma vediamo cosa dice il
Frate calabrese in quella prima lettera a Fra Girolamo: “ Questo padre santo è molto zeloso della
fede cattolica, e dello stato della santa Religione, dilettasi molto vivere cristianamente, ed esercitare
li divini officij; riformerà alcuni monasteri del suo Ordine, e darà principio ad edificarne, e farà
libri di prediche, di sermoni, di grandissima eccellenza. All’odore della sua santità si convertiranno
molti peccatori, vestirà l’habito a molti, farà una congregazione di religiosi Predicatori huomini di
santa vita, predicherà nella città di Fiorenza per un tempo dove avrà grandissima udienza, e gran
seguito di popoli, ma sarà invidiato, e odiato, e accusato a torto al Sommo Pontefice, e per false
testimonianze, e falso processo sarà condannato a morte” (p.81). Tempi turbolenti e corrotti quelli
che racchiudono la vita del Frate ferrarese e del Paolano che Pina Basile delinea in una sintesi
chiara e offre una lettura agevole e piana per tutti, arricchita da una aggiornata bibliografia. In
Piazza della Signoria a Firenze una lapide a forma circolare ricorda che lì il 23 maggio 1498
Girolamo Savonarola viene mandato a morte sul rogo. Qualche anno dopo, il 2 aprile 1507, in
Francia, muore serenamente, all’età di 91 anni, San Francesco di Paola, ma tra il 13 e il 14 aprile
del 1562, per opera di un gruppo di protestanti, gli ugonotti, il rogo non risparmia neppure il corpo
del Santo di Paola (4). Sandro Botticelli (1445-1510) quasi coetaneo di Savonarola, nel suo dipinto
Crocifissione ritrae il cielo plumbeo, minaccioso, “lo sfondo di Firenze murata e turrita, con la
cupola di Santa Maria del Fiore, il campanile giottesco, il Palazzo della Signoria, in lucida ma cupa
evidenza; il primo piano (lo spazio tra le mura della città e questa scena è una contrada che ha
sapore di terra già bruciata, quasi terra di nessuno) il Cristo crocifisso avvolto in un nembo in cui il
panneggio si fonde con la voluta delle nuvole, un Cristo inchiodato su di una croce abbracciata in
un amplesso disperato di una Donna misteriosa (la Vergine? La Maddalena?); e un angelo punitore
che verbera senza pietà un animale simbolico, forse la stessa città di Firenze, ancorata nella colpa
della corruzione e della perdizione, dell’adulterio religioso e della morte del suo profeta…” (5). La
morte di Savonarola non ha risolto i problemi di Firenze e nemmeno quelli della Chiesa. Il nuovo
secolo è caratterizzato dalla Riforma e dalla Controriforma, con il Concilio di Trento che dura
quasi vent’anni (1545-1563).
Francesco Carlomagno
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