mercoledì 18 maggio 2011
Roma-18/05/2011:Identità in Guerra (di Emanuela Mercuri )
Identità in Guerra
16 anni fa in Bosnia
Il ventesimo secolo è stato un tempo in cui l’immaginario di distruttività ha trovato un terreno
fertile dove far germogliare gli effetti devastanti di alcune ideologie. A tale proposito, vorrei citare
il pensatore britannico Eric J. Hobsbawm: «Il Secolo breve è stato un'epoca di guerre religiose,
anche se le religioni più militanti e assetate di sangue sono state le ideologie laiche affermatesi
nell'Ottocento, cioè il socialismo e il nazionalismo, i cui idoli erano astrazioni oppure uomini
politici venerati come divinità.» Hobsbawn utilizza il concetto di Secolo Breve per definire il
Novecento come un “momento” di enormi cambiamenti e nelle Scienze e nella condizione del
genere umano. È da questi profondi cambiamenti, che paiono regolati paradossalmente dal
disordine scaturito dall’impotenza della ragione che parte la mia riflessione. Memore delle
immagini onnipotenti dello scenario bellico che le tv nazionali e internazionali mostravano dei
Balcani e delle testimonianze della gente comune, l’identità sembra essere legata misticamente al
sacrificio. Massacro, genocidio e pulizia etnica, i termini usati per attribuire un nome a una lezione
cruenta che abbiamo lasciato ai libri di Storia Contemporanea e di Diritto Internazionale. La storia
della Bosnia non finisce, tuttavia, riponendo un libro nel cassetto. Il 26 marzo 2010, l’International
Commission on Missing Persons (ICMP) ha comunicato l’identificazione di 6414 vittime in un
range di 13.000 Dna del solo massacro di Srebrenica. Altre salme esumate attendono di essere
identificate. Nel 1995, le forze serbo-bosniache guidate dal Generale Ratko Mladic uccisero
migliaia di uomini e ragazzi musulmani bosniaci (bosgnacchi). Il 31 marzo 2010 la Serbia chiede
perdono per non aver fatto abbastanza nel prevenire il massacro. Jacques Semelin ci ricorda che nel
Medioevo il termine era usato per definire la messa a morte di animali destinati a divenire cibo e il
termine Olocausto definisce il sacrificio di animali caro agli dei nell’antica religione greca ed
ebraica. Che cosa continuano a mostrare le salme senza nome, le informazioni che ci giungono?
Che cosa possono spiegarci gli occhi dei Balcani sui conflitti che negli ultimi mesi osserviamo
impotenti? L’anima di un popolo è sconvolta, offesa, disorientata nella propria identità.
Il concetto d’identità pare essere definito dall’esistenza di un altro termine con il quale l’uno si pone
in relazione con l’altro e dal quale percepiamo ciò che ci rende unici e puri: le differenze. Non è
dunque percepibile in termini generali come nome, cognome, età. Non solo. Dagli antichi culti
misterici, sino ad arrivare alle analisi svolte da alcuni antropologi, dei quali cito il lavoro eminente
di Mary Douglas, Purity and Danger, la contaminazione del corpo individuale è la metafora
dell’inquinamento della struttura sociale. Tornano subito in mente, allora, le leggi razziali del Terzo
Reich. Tuttavia, se per i nazisti la concezione della purezza della propria identità d’Ariani era
incarnata dalla perfezione organica e dalla conformità ideologica, le quali non concedevano via di
scampo a tutti quelli che erano corrotti nella salute e deviati psicologicamente o intellettualmente,
nell’ex - Iugoslavia s’intravede qualcosa di mitico: la purezza dell’Ethnos. L’etnologo Ivan Čolović
rileva che i miti politici serbi invitano a tornare “all’identico sangue eterno” la cui culla si
troverebbe nella terra sacra del Kosovo, ove il 15 giugno 1389 del calendario giuliano (28 giugno
calendario gregoriano) la battaglia della Piana dei Merli decretò la fine della libertà del Regno di
Serbia, con l’asservimento degli apparati militari e l’annessione, infine, all’Impero Ottomano cento
anni dopo.
Questo risentimento per una comune identità, proiettata sulla paura e l’angoscia delle masse, è
diventata politica? Il secolo breve ci insegna che lo è stato. Per costruire l’impalcatura del discorso
politico non occorrono solo uomini dei quali il grande carisma li ha resi profeti agli occhi del
popolo, occorrono in particolar modo le bocche della conoscenza, in altre parole gli intellettuali. In
quale modo menti raffinate dalla cultura possono supportare il fanatismo ideologico? Sono forse
delle menti disturbate? Quante volte, abbiamo sentito dalla voce dei nostri nonni che ribellarsi al
dittatore significava morte certa? Quante volte, guardando la televisione, leggendo i giornali,
sbirciando notizie qui e là, dai Balcani al Medio – Oriente, dalle dichiarazioni di alcuni nostri stessi
politici, pronunciamo con sconcerto: “è paranoico!” certo, un Freud avrebbe annuito. Gli stati sono
governati da pazzi? Il popolo è un gregge che accetta pacificamente il macello? Il processo
d’innesto di un’identità attraverso l’ideologia è molto complesso. In Iugoslavia, un ruolo chiave è
svolto dal “Tolstoj serbo”, Dobrica Ćosić. Nei romanzi che l’hanno reso celebre, racconta le
tribolazioni dei serbi durante le due guerre mondiali. E ancora, creatore del Comitato per la libertà
di pensiero e di espressione, si batté per difendere tutti quelli che fossero perseguiti per delitti di
opinione. Lo scrittore sembra essere una figura tanto espressiva quanto complicata della lotta al
totalitarismo. Al suo ingresso all’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado, si pronunciò a
difesa del popolo serbo, con le celebri parole: “I Serbi hanno sempre vinto la guerra e perduto la
pace.” Dall’Accademia delle Scienze partì il triste Memorandum che divenne guida d’orientamento
per Slobodan Milošević e Radovan Karadžić Nel 1993, come Presidente della Repubblica
Federale Iugoslava, Dobrica apparve sulle tv serbe, comunicando la richiesta da parte dei governi
occidentali di porre fine al conflitto. La sua posizione, così come cita il Time Magazine dell’epoca
(25 gennaio 1993) fu: “Se non accettiamo, saremo messi in campi di concentramento e attaccati
dagli eserciti più forti del mondo. Queste forze esterne sono determinate a subordinare il popolo
serbo all’egemonia musulmana”. Milošević dal canto suo, dopo aver sostenuto militarmente i serbi
di Bosnia nella sanguinosa guerra civile, trovatosi sempre più isolato dalla comunità internazionale,
decise di negoziare le trattative di pace per mantenere le conquiste territoriali acquisite negli anni
della guerra. Con il mandato del Governo Iugoslavo, fu protagonista delle trattative di pace di
Dayton che decretarono la fine delle ostilità in Bosnia Erzegovina, per poi essere, nel 2001,
arrestato a Belgrado. Nel 2000, il mentore della Serbia celeste, si unì all’Otpor, un’organizzazione
anti – Milošević e ancora nel 2010 le sue dichiarazioni erano inclini a supportare le azioni dei
serbo-bosniaci guidati da Mladic. Come osserva Jean Hatzfeld, l’istruzione non rende l’uomo
migliore, lo rende semplicemente efficace. Chi vuole ispirare il male o il bene sarà avvantaggiato
perché conosce le manie dell’uomo, la sua morale e se il suo cuore è pieno di odio o risentimento,
allora diverrà pericoloso. Forse, non dovremmo meravigliarci se la barbarie del genocidio sia potuta
scaturire come un fiume in piena, ma ben organizzato nel proprio letto, in Germania o nei Balcani.
A sedici anni da Srebrenica, ritornano gli stessi interrogativi, che a mio parere sono assimilabili agli
eventi, dei quali siamo spettatori spesso incoscienti, sulla Striscia di Gaza: Chi siamo? Chi è l’altro?
I sentimenti di diffidenza si mescolano troppo spesso al desiderio di dominazione e d’insicurezza. I
miti e le favole ci insegnano che tali sentimenti spesso sono avvisaglie di eventi futuri che sono
guidati, oltre che da risentimenti e dalla fedeltà agli antenati e alla propria storia, da menti lucide
che coordinano l’angoscia dei popoli. In questo frangente entra in gioco il “nostro” essere spettatori,
terzo termine più necessario di quello che pensiamo. Alcuni giornalisti e militanti denunciarono le
strutture per i detenuti in Bosnia, definendoli campi di concentramento. Molti giornalisti e attivisti
per i diritti dell’uomo nel profondo Est dell’Europa (non occorre una lista e non occorre espandere
l’analisi di quei fatti, che magari saranno trattati più in là) a seguito delle loro analisi e denunce,
sparirono nell’ombra oppure morirono e solo poche volte e sempre da parte dei loro colleghi, si è
parlato di omicidio. Un mese fa, è stato assassinato l’attivista Vittorio Arrigoni. Alcuni testimoni al
processo di Norimberga sostennero di aver saputo dell’esistenza e dello scopo reale dei lager
nazisti. Il ruolo del terzo è importante nella relazione carnefice/vittima. Come? Il terzo, mostrandosi
solidale, diventa ambasciatore di fratellanza e di coscienza, nella costruzione di una nuova opinione
pubblica e questa può divenire il freno allo sviluppo della violenza. L’identità dell’uomo in guerra è
un processo complesso che non riguarda solo la legge, bensì il diritto umano all’obiezione di
coscienza e alla resistenza. E dal secolo breve, il Novecento, si trae la conclusione che l’uomo è
passato da uno stato di obbedienza assoluta a un risveglio necessario della propria responsabilità. E
questa responsabilità, incline a voler difendere i diritti dei nostri vicini, sarà più forte del nostro
istinto di morte? Sarà più forte dell’insicurezza politica, economica, spirituale?
Rimando all’anima del pensiero di Don Luigi Sturzo: l’individuo deve scegliere da sé se seguire la
propria coscienza da cittadino o da credente.
Emanuela Mercuri
_____
Emanuela Mercuri, classe 1983, ha ottenuto una formazione che comprende
studi classici e politici, dedicandosi con particolare dovizia all’analisi delle
ideologie politiche e alle loro applicazioni nella storia. Divisa tra lavoro
precario e studio sta per conseguire la Laurea Magistrale in Scienze del
Governo e dell’Amministrazione.
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