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martedì 29 dicembre 2009

Trebisacce-29/12/2009: La tentazione di Gianni Mazzei


La tentazione.

Io resto sconcertato per l’immiserimento,nel tempo, che noi occidentali abbiamo dato alla parola, specie ad alcune nevralgiche,complice la Chiesa cattolica.
Prendete la parola “tentazione”.
Attualmente ha solo significato negativo,per come la morale cattolica l’ha volta ad esprimere un pericolo, un rischio da evitare per non commettere peccato.
“Non indurre e non cadere in tentazione”, ad indicare non sovvertire le regole e mantieni un comportamento giusto,equilibrato, virtuoso.
Di ciò che la parola “tentazione”, ha , nel suo significato originario non resta più traccia: il termine greco ne parla in modo diffuso ed ampio,essendo presente nel verbo “peirazo” da cui deriva il sostantivo: peira prova,rischio,esperienza,conoscenza,lotta,impresa,proposta,seduzione, ecc,cioè elementi essenziali a provare il carattere, l’essenza di un essere, la sua consapevole soluzione ad andare oltre, a vivere, mettendosi in gioco.
Resta, forse, di tutto ciò, a livello metafisico, qualcosa nel racconto del genesi,quando si parla dei nostri progenitori tentati dal demonio, dopo aver saputo di non poter mangiare dell’albero del bene e del male.
E’ la possibilità di scegliere: ma non tra il bene e il male, sarebbe qualcosa di riduttivo ciò.
E’ scegliere se esistere,assumendosi tutte le responsabilità del proprio stato,consapevolmente, o restare dormienti in una grazia divina che tutela,ma che anche ti blocca la crescita come individuo.
Penso che questo aspetto l’abbia colto, forse l’unico tra i filosofi, solo Kierkegaard, allorchè nella parola existere faceva emergere l’uscire dall’indistinto della grazia, che pur comporta dolore e straniamento, per diventare se stessi, per essere singoli.
A voler essere pignoli,qualcosa del genere lo dice Anassimandro col discorso dell’aperion e della pena che poi si paga.
E la stessa cosa dicono alcuni miti fondamentali legati all’ubris e alla scalata del cielo.
La Chiesa cattolica, dunque, ha il gran torto di aver travisato il senso della “tentazione” vedendola solo in un ambito morale e salvifico, facendo perdere alla parola il senso della consapevole prova da affrontare per essere se stessi: cioè uomini transeunti, perituri, viventi nella storia e quindi nel dinamismo,diversi ontologicamente dalla divinità che vive nella perfezione, atemporalità,durata in perfetta armonia.
Se si accetta,allora,questa dilatazione originaria della parola, ci si accorge che dobbiamo dare altro senso ad essa,rivalutandola, immettendola nell’alveo di quisque faber fortunae suae,in clima,se non titanico, quantomeno di operosità intellettuale che sappia sposare l’esperienza,come avveniva nel mondo greco o nel mondo rinascimentale, nell’equilibrio tra otium et negotium.
La parola ne guadagna in dignità e recupera il suo fondo positivo, trascurando o quantomeno dribblando il senso di seduzione che vale ancora solo come trasgressione e specie in campo erotico: per cui, dire con Wilde “ che le tentazioni esistono per poterci cadere” è dire una frase affascinante,ad effetto, ma senza riscontro etimologico vero rispetto alla’origine della parola.
Dobbiamo sganciare la parola “ tentazione” sia da un tentatore,un demone che ci seduce a deviare,sia dai sette vizi capitali previsti dalla morale cristiana.
Al tentatore, fallace e seduttore, della Chiesa, l’angelo caduto, preferisco il demone socratico che dice non cosa fare, ma cosa non fare.
E alla gradualità dei peccati (ed è strano una gradualità del non esistere come dovrebbe essere il peccato: qui,altro complice è Dante e la sua alta poesia) collegata alla tentazione, preferisco affermare altro.
E cioè: ci sono alcune tentazioni che sono così inaccessibili ai più che solo eroi e geni possono accoglierle e capirne il senso e tra essi solo pochissimi hanno il privilegio e il coraggio di viverle.
Solo Cesare per esempio poteva avere e capire la tentazione di oltrepassare il Rubicone e solo lui poteva viverla.
E solo a lui poteva presentarsi,data la sua grandezza: ad altri sarebbe risultata estranea, una pazzia o non sarebbe stata percepita.
E’ un richiamo a Leibniz e alla verità di fatto.
Perché le tentazioni sono splendidamente aristocratiche,alla stessa stregua di eccelse virtù.
Io penso che si può capire il valore di una persona dalla tentazione cui cede.
E si può capire anche,dalla qualità di essa, il valore della tentazione e il valore del tentatore.
Ci sono,nella storia,tentazioni così mentalmente folgoranti dinnanzi alle quali impallidiscono virtù considerate sublimi


Gianni mazzei

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