sabato 5 dicembre 2009
Trebisacce-05/12/2009: Divagando...(di Gianni Mazzei)
DIVAGANDO, TRA PLATONE ,HEIDEGGER E LA VERITA’
Stranamente, nel passato, all’età di vent’anni, mi è successo una cosa curiosa, con due tedeschi, grandi in ambiti diversi e in momenti storici diversi.
Vivevo allora una situazione particolare, una specie di malattia dello spirito e subii allora il fascino della musica e la malìa della parola, quasi entrando in trance e ricreando in me momenti di sospensione dell’anima, come se fossi lontano da tutti, e quasi persino forestiero a me stesso.
Ma c’è una cosa ancora più strana.
Che mi fosse capitato ascoltando la Terza sinfonia di Beethoven, specie nel franamento esistenziale della marcia funebre quando l’assolo dello strumento regge tutto l’impianto e tu ne senti l’imminente sbriciolarsi dell’io per lo sforzo immane, si può anche intuire,per la grandezza dell’autore e per l’incanto proprio della musica, per come i grandi, non ultimo Schopenhauer, ne hanno parlato.
Era tale l’accensione dell’animo in questo ascolto che scrissi, solo seguendo il ritmo della musica, una poesia, dal sapore necessariamente esistenziale.
La stranezza dunque è che la stessa ebbrezza mentale la provai leggendo Essere e Tempo di Heidegger, quasi non seguendo più, ad un certo punto,
l’argomentazione filosofica e lasciandomi trasportare solo dal ritmo del periodo, dalla musicalità della parola, al di là dal senso, in una furia orgiastica che poi ho trovato riscontrabile sia nel significato che Gorgia dà alla parola e forse, scusate l’azzardo, in quell’ affidarsi la Germania, per come sostengono storici, all’aspetto romantico ( qui inteso come emotivo incantamento), più che al rigore illuministico, nell’esperienza drammatica del nazismo.
Ecco il punto della mia stranezza sperimentata, che ora mi si ripresenta nell’affrontare l’etimologia di una parola chiave nella cultura occidentale, ossia la Verità: essere stato incantato da Heidegger non tanto nelle argomentazioni, quanto nella musicalità dell’argomentare stesso , nella poeticità del dire.
E difatti restai abbagliato, leggendo subito dopo altri scritti di Heidegger nell’apprendere che aletheia è l’apertura dell’essere, l’apparire nella sua intrinseca solarità ,sconfiggendo l’oscurità dell’ignoranza e del nascondimento.
Aletheia ,parola chiave della sapienza occidentale, che deriva da un’alfa privativa e dal verbo landano,nascondere!
Ma è proprio così?
Veramente la verità è imporsi da sé, nella sua oggettiva certezza, dando così all’essere la sua cristallina manifestazione e instaurando infine un rapporto intrinseco tra essere e linguaggio?
E,ancora, se le cose stanno così, la verità è assoluta, tanto da poter invocare anche noi, pur su un versante laico, l’ipostasi giovannea su Cristo come logos, via, verità e vita.
Saremmo garantiti da ogni crepa nel nostro esperire umano, da ogni angoscia che la morte,il dolore, la debolezza, il male, l’assurdo ogni giorno soffoca il nostro cuore e trafigge con schegge acuminate la nostra mente.
Ma ho i miei dubbi che la cosa stia così.
E dico questo senza scomodare Platone che, filosofo, greco, molto più vicino di Heidegger alla fonte delle parole che contano, dice altro, parlando di aletheia, nel Cratilo ,allorchè sostiene essere essa parola composta, da teia e ale e significa divina agitazione.
La mia perplessità è di prospettiva. E mi spiego.
1) possibile mai che una parola così importante,come aletheia, abbia una sua formazione etimologia da un’alfa privativa e da un verbo?
Nessuna altra parola greca di importanza capitale è formata così.
E si spiega anche: quando sono proiettato verso una parola essenziale che conta le dò connotazione positiva, la pienezza ( come fa Parmenide, proprio per aletheia, vista come verità-realtà,pienezza dunque in contrapposizione al nulla).
Una cosa del genere mi pare che faccia lo stesso Omero, che vede in aletheia la concretezza del discorso, forse ripreso questo aspetto da uno dei tanti significati di verità,intesa come adaequatio intellectus et rei.
2) Certo, l’a privativa si riscontra già in Anassimandro,per formulare il suo celebre infinito o indeterminato, l’apeiron: ma tale parola sta a significare la possibilità di ogni possibilità o addirittura la polvere, per come ne parla Giovanni Semeraro, da cui, primigeniamente,le cose sono state create .Non quindi la sodezza della verità inconcussa.
3) Né si può dare alla parola aletheia,intesa come non-nascondimento, il significato dell’Assoluto: cadremmo in una visione mistica, estranea al mondo greco e che ci vedrebbe indicare in forma negativa ciò che sfugge al contingente, un po’ come avviene nella mistica cristiana o nella cabbala .
4) La formazione delle parole con l’uso dell’alfa privativa presumo che sia susseguente alla formulazione delle parole chiave.
5) Lo si può vedere anche nella lingua italiana, con l’uso della litote, che riguarda parole per lo più nel campo dell’aggettivazione o degli avverbi, non certo nel campo dei sostantivi e specie di quelli che hanno un valore fondamentale. Sarebbe altrimenti sostenere che la parola aletheia più che primitiva è parola derivata.
6) Nella lingua latina la parola Veritas viene da vereor che ha senso positivo, molto ampio, nella quale è presente in modo centrale il significato di venerare,temere. E’ una sorte,cioè, di sacralità e di prudenza sapienziale presente nel percorso dinamico che porta alla verità, cosa estranea invece se si tiene conto del suo non-nascondimento.
7) Giacchè,sarebbe fuorviante e quasi blasfemo,anche per la religione antropomorfica dei greci, contrapporre l’aletheia, il non nascondimento, al lethe, all’oscurità dell’Ade, a qualcosa che sfugge al controllo umano e anche agli dei, tanto è sua potenza!
Lo si teme talmente che anche nel folklore del mio paese, Villapiana, esiste la fontana du scurdu, della dimenticanza, che prende i morti, rendendoli evanescenti alla vita.
Gianni mazzei
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