Banner

giovedì 10 dicembre 2009

Acri-09/12/2009: Intervista alla poetessa Anna Algieri di Peppino Gallo

PEPPINO GALLO: “LE SCELTE STILISTICHE DI UNA POETESSA”


Intervista ad Anna Maria Algieri sulla sua ultima raccolta di poesie “Voce dell’anima”, Aletti Editore, Villalba di Guidonia, 2008.


D. – Nella prosa, in base alla scelta della voce del narratore, lo scrittore sceglie anche le tecniche stilistiche più appropriate, perché la storia abbia un suono. Questo vale soprattutto per la poesia, dove la musicalità è più accentuata. La prosa di Giovanni Pascoli “Il fanciullino” è una sorta di manifesto della sua poetica decadente. In pratica, si tratta della scelta di una voce adatta a cantare in versi le piccole cose della natura, i cui toni saranno ripresi dai crepuscolari. Lei ha detto che i versi della poesia Natività le sono stati dettati da una voce interiore. Potrebbe aggiungere altro, in merito?

R. - Riguardo alla poesia Natività posso dire che è stata essenziale una riflessione sul senso più profondamente cristiano di quello straordinario evento che ha segnato e guidato i destini e la storia del genere umano. A mio parere, solo nella più assoluta semplicità si poteva dare l’idea e rendere l’incanto di un tale sovrumano prodigio. Il lessico immediato ed essenziale, la disarmante nitidezza delle immagini, la facile contabilità mi sono serviti a raggiungere lo scopo. Sicuramente la “voce interiore” ha avuto il ruolo maggiore in questa mia creazione e va intesa come l’energico emergere dal profondo della coscienza di una autentica spiritualità.

D. – Nella sua poesia Natività l’accento ritmico degli ottonari produce una notevole musicalità, sebbene non siano rimati, e la differenza di suono dell’ultimo verso mette in evidenza l’evento straordinario della nascita divina (Pargoletto mio divino, / tutto bello e ricciutello, / dal tuo sguardo celestiale / il creato è illuminato. / Sei gioioso, sei felice, / sei fecondo, sei divino / per regnare da sovrano. / Noi cantiamo le tue lodi / della bella natività.) Condivide il mio parere che in questa poesia ci sia la sua voce poetica più autentica?

R. - Sono d’accordo sull’analisi “tecnica” che lei fa della poesia Natività, e le ho appena detto da dove è scaturita e come, ma non credo che l’autenticità della mia voce poetica, che si è espressa fino ad ora in un arco di tempo più che trentennale e in varie raccolte, sia rintracciabile solo o più che altrove in questa lirica.

D. – Alla smania di apparire che c’è oggi, di curare l’immagine, non può che contrapporsi la semplicità. In A Te, Francesco lei apprezza la sobrietà con cui il Santo di Assisi canta la natura, svelandoci che l’umiltà è una forza di fede (Tu che lodi il sole che sorge, / la terra che produce i suoi frutti, / l’acqua, il fuoco, il vento / e tutti chiami col dolce nome / di “fratello e sorella”). Può spiegarci come, o perché, la semplicità, che è sempre stata il suo stile di vita, si rifletta anche nel suo modo di verseggiare?

R. - Dopo la pubblicazione della silloge Voce dell’anima, sicuramente per la rilevanza che in essa ha la religiosità ed in particolare il mio personale, immediato ed emozionale approccio con una dimensione spirituale in cui umano e divino appaiono inscindibilmente uniti, molti hanno puntato la loro attenzione sulla semplicità del dettato e del messaggio. Ebbene, la mia è la ricerca di una dimensione originaria della fede, dell’esperienza cristiana e della sua messa in pratica. E San Francesco anche in questo, con il suo Cantico delle Creature, è stato un vero maestro. Sono sempre stata affascinata dal messaggio evangelico delle origini e soprattutto dal linguaggio piano e chiaro delle parabole, per cui, per me non ha senso dire cose importanti che toccano gli abissi più profondi dell’anima in modo arduo e oscuro. Io ho voluto trasmettere le mie riflessioni e la dimensione tutta umana della mia fede perché qualsiasi lettore potesse capire e riflettere.

D. – Vorrei farle notare come il suo sentimento religioso, anche se puro, da una poesia all’altra, risulta a volte fiacco, monocorde, perciò privo di temperamento. Di solito, i poeti sanno che solo i primi versi sono quelli più efficaci. Ma si può ugualmente sviluppare la poesia con l’apporto della fantasia. Non crede che, per risolvere il problema della ripetitività, potrebbe ravvivare le sue tematiche usando più immagini, metafore, allegorie, insomma ricorrendo alle figure retoriche?

R. - “Voce dell’anima” ha suscitato grande interesse ed io stessa sto raccogliendo lusinghieri giudizi critici, non attesi, da più parti, voglio dire da ambienti religiosi e laici. Non penso che appesantire le mie liriche con preziosismi linguistici, ricercatezze semantiche, sinestesie, metafore, allegorie e figure retoriche varie le avrebbe rese più vitali e varie, visto lo scopo che mi ero prefissata: non ho mai preferito gli Inni sacri di Manzoni proprio per la loro prolissità, la loro macchinosità derivante non certo dall’ispirazione autentica del poeta, ma proprio dagli accorgimenti tecnico-formali che li caratterizzano. Il temperamento, poi, credo stia proprio nel dire e ribadire chiaramente certi principi, nel diffondere certi valori, quelli cristiani, ovviamente. Sul modo di risolvere e concludere efficacemente la linea di sviluppo tematico, quasi sempre breve, dei miei componimenti, basta andare a rileggere qualche mia precedente raccolta, ad esempio Rime d’amore, per poter rendersi conto che è una mia nota caratteristica. In questo caso particolare il messaggio, l’immagine, il senso, il significato dovevano arrivare direttamente più che alla mente al cuore. Quindi al di là di qualche anafora ho ritenuto di dover bandire abbellimenti e fronzoli vari.

D. – Lei ha partecipato a molti concorsi di poesia. Potrebbe citarci almeno una delle motivazioni dei premi ottenuti, dove si riflette sia come donna (per aver scoperto, magari, aspetti della sua personalità che pensava di non avere), sia come artista.

R. - In questo momento non mi viene in mente una sola motivazione, anche perché come lei sa in questi anni, e non sono pochi, di produzione poetica sono stati tanti i riconoscimenti e i premi ricevuti, nazionali e internazionali. Certo ogni volta è stata una conferma e al tempo stesso una scoperta: una conferma del valore della mia attività artistica ed una scoperta della mia ricchezza interiore di donna, tesa al perfezionamento dello spirito, ma anche attenta ai bisogni degli altri. Ricordo ancora con grande commozione la Targa d’onore che ricevetti nel 1986, per il Premio di Poesia Città di La Valletta, dalle mani dell’allora Presidente della Repubblica di Malta; e l’ultimo riconoscimento, in ordine di tempo, a cui tengo molto, che è rappresentato dall’alta onorificenza letteraria “Magistra Artis Litterae” conferitami dall’Associazione Ars Millennium, per i testi del cortometraggio dal titolo “Nel centro storico di Acri. Alla riscoperta del Santo Natale di un tempo”, frutto di una proficua collaborazione con il Laboratorio cinematografico dell’Istituto “Falcone” di Acri.

D. – Senza fede non c’è riscatto, una persona non è capace di annullare le sue pecche, né di ignorare quelle degli altri (Signore dove andrò / senza la tua guida). In questa sua raccolta si avverte come la crisi dei valori sia soprattutto una crisi di fede, ed è pronta ad indicarci il percorso della verità (E’ la luce del Signore / che brilla oltre l’orizzonte). Ma si tratta pur sempre della via stretta, quella dell’autoanalisi, della presa di coscienza della propria debolezza umana, che lei è pronta a riconoscere, come nella poesia Perdono (Non posso accettare la mia cattiveria); in Invocazione (Signore, aiutami / a non vivere / nell’odio e nella menzogna, / nell’invidia e nella gelosia); in Gesù Crocifisso (Guariscimi dall’odio / e dalla ipocrisia) e in Confessione (Sono una peccatrice / che ha bisogno di aiuto). Ma l’autocritica, la consapevolezza di quel senso di solitudine esistenziale di cui ci parla nella poesia La beffa della vita, non sarebbe efficace, se non fosse seguita da una volontà di crescita (Non restare solo / chiuso in te stesso / … / sii libero dalla depressione, / dall’ozio, dall’odio). È con questo spirito religioso che lei ha intrapreso i suoi pellegrinaggi a Lourdes e nella Terra Santa?

R. - I miei pellegrinaggi sono stati sempre dettati da un bisogno di completamento interiore e non si cresce interiormente se non si conosce se stessi, e in questo serve l’autoanalisi, e soprattutto se non si conoscono gli altri, se non ci si confronta con la sofferenza che fa parte della dimensione esistenziale di ognuno, se non si allarga lo sguardo al prossimo bisognoso e in difficoltà. Nei luoghi di culto e di pietà cristiana da me visitati ho colto la vera dimensione umana con i suoi limiti e le sue miserie e nel contempo ho potuto attingere il divino che è in ognuno di noi al di là dell’estrazione sociale e del livello culturale.

D. – Si direbbe che, per abbracciare le religione cristiana, sia necessario cominciare con una presa di coscienza di sé, del proprio vissuto. E si rammarica che, nella società attuale, l’uomo non riesca più a fermarsi per guardare in se stesso, alla ricerca di Dio (Eppure, un giorno, / Dio ci ha creati. / Ma quel giorno / è così lontano / che il pensiero / va oltre). Si dice che la sensibilità degli artisti sia un campanello d’allarme contro i pericoli cui va incontro l’umanità. Cosa manca, a suo parere, all’uomo contemporaneo, per migliorarsi sempre di più?

R. - L’uomo, in generale, denuncia disorientamento e mancanza di volontà, ma ciò che è più grave è che nei giovanissimi vi sia apatia se non un desiderio, non sempre inconscio, di autodistruzione. È questo che maggiormente mi preoccupa… e naturalmente mi indigna la mancanza di adeguate e moralmente valide figure di riferimento, in tutti i campi della società. Ecco cosa manca: l’esempio, il buon esempio!

D. – Nella vita di Alessandro Manzoni la conversione al cattolicesimo, seguita a quella della moglie Enrichetta Blondel, è stata una svolta decisiva. La crescita della fede in Anna Maria Algieri è stata progressiva, oppure è cominciata da una improvvisa delusione (Non trovo uomo alcuno che possa / alleviare la mia sofferenza / di solitudine e sconforto), o da un episodio particolare?

R. - Le mia fede trova le sue radici più forti e autentiche nell’esempio dei miei genitori e nell’apporto educativo di importanti figure di riferimento che nel corso della mia fanciullezza e poi giovinezza hanno progressivamente arricchito il mio bagaglio di esperienze e di sapere. Nel centro storico acrese, nei pressi della Casa-cappella del Beato Angelo d’Acri e all’ombra della sua maestosa Basilica, non era difficile avvertire tutto il fascino e il mistero della fede…. Non credo ci sia alcuna attinenza, quindi tra me e Manzoni da questo punto di vista, anche perché la sua fu una “conversione” seguita ad una volontaria rinuncia alla fede e quindi ad una elaborazione tutta intellettuale dei fini dell’uomo oltre che, come ha ben detto, a sollecitazioni familiari.

D. – In alcune sue poesie si nota come la fede spinga ad agire nel sociale, senza però badare al colore politico, ma all’uomo. Può esserci, e in che modo, una coincidenza fra operosità cristiana (come quella di padre Giacinto Osso, che ha fatto sì che Acri potesse avere la sua basilica monumentale) e impegno politico?

R. - La convivenza tra “operosità cristiana” ed “impegno politico” dovrebbe essere naturale: infatti così come il cristiano, in ossequio all’insegnamento di Cristo, è tutto rivolto al bene del proprio prossimo, il politico, al di là del suo credo religioso e della sua formazione ideologica, si mette al servizio della comunità di cui fa parte per favorirne la crescita economica, sociale e culturale. Sappiamo però, purtroppo, che così non è…

D. – La sua poesia religiosa è spesso collegata a istanze di giustizia, alla disuguaglianza sociale, ai diritti umani. Nel 2007 ha tenuto a Ramos Mejìa (Buenos Aire – Argentina) una conferenza sul “Ruolo della donna nella società di oggi”. Si direbbe che, per accrescere la fede, sia necessario meditare anche sul proprio impegno politico e sociale. Condivide questa osservazione?

R. - La fede, ripeto, si è generata in me crescendo, grazie a chi mi è stato accanto e si è sedimentata nel profondo del mio animo, dandomi il senso e la misura della realtà, il senso e la misura del valore della vita e del rispetto del prossimo. Per il cristiano interessarsi agli altri, al sociale, dovrebbe essere qualcosa di naturale, spontaneo, direi addirittura un’urgenza e la politica dovrebbe essere un servizio rivolto alla società. La fede è alimentata dalla Grazia, ma naturalmente può trovare un senso e un lievito anche agendo nel sociale con e per gli altri. Secondo me, come ho avuto modo di dire a Ramos Mejìa, nella circostanza che lei ricorda, le donne possono fare molto in questo campo, proprio prendendo coscienza del loro essenziale ruolo, allontanandosi però da vuoti stereotipi e da squallide strumentalizzazioni.

Nessun commento:

Posta un commento