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sabato 26 dicembre 2009

Trebisacce-26/12/2009: Rapporto tra Natale e Pasqua nella lingua del popolo di Gianni Mazzei

La lingua del popolo può dire cose mirabili, persino in teologia: e
rispetto alla lingua ufficiale ha il vantaggio della concretezza che si
tramuta in gesti,eventi,ritualità,simbolo,aspetti che la lingua
ufficiale tende a rendere evanescenti e quindi a rendere estranei, non
essendoci più il rapporto inscindibile tra cosa e parola.
A livello teologico, sappiamo, che la centralità della parola
rivelata è la Pasqua, morte e resurrezione di Cristo:l’evento
sconvolgente è un Dio che si incarna e che muore per l’umanità.
Per cui,anche il Natale, a noi così caro per sentimenti dilatati
della nascita,infanzia,( con aggiunta ,almeno al Sud, del ritorno del
capo-famiglia dall’estero,l’uccisione del maiale, le tradizioni
culinarie ed altro), ha senso solo se vive, in prospettiva, dell’ombra
della croce.
E già nel Vangelo, durante la presentazione di Gesù nel tempio,
Simeone dice a Mariache una spada le trapasserà.
La lingua del popolo, nel mettere a confronto questi due eventi
essenziali del Cristianesimo, dice cose stupende,legandole per altro al
quotidiano, per cui veramente il vangelo può diventare il vivere di
ogni momento, nella fragilità umana.
Le parole che sono emblematiche sono: lavoro, laurillo, inteso sia
come modifica di lavoro( per rendere musicale la parola), sia come
piccolo lauro, che incorona.
“Lavoro” sta a significare “ campo di grano” ad indicare la
centralità dell’attività umana, della nostra gente, e l’essenzialità
del grano stesso nella vita della gente.
“ Vu campè quando u vini e u pène”,vivere a lungo come il vino e il
pane è l’augurio più bello che si possa fare ad una persona.
Che “lavoro” significhi campo seminato lo dice bene una filastrocca,
surreale nel finale come tutte le cose del popolo per il gioco dell’
assonanza, che così recita:”chiove chiove, i picure ndu lavore, u
patrune ndu puzze, chiove chiove scaramazze”.
Andiamo a vedere ora l’altra parola “laurillo” che troviamo
sorprendentemente durante la settimana santa.
“Laurillo”(dovrebbe essere lavurillo,ma c’è la caduta della v per
questione di musicalità) sta ad indicare il cesto che le donne portano
sul capo,il giovedì santo,presso il sepolcro di Cristo morto, come
omaggio: esso è composto di steli esangui, germogliati in pochi giorni,
da chicchi di grano.
Ne parla già Platone nel Fedro, nel confronto tra lingua parlata e
lingua scritta,sostenendo che la lingua scritta è come “ i giardinetti
di Adone “ che diventano belli in otto giorno,senza portare frutti.
E già questo aspetto della pietà popolare è interessante,se sa
attualizzare,in un contesto salvifico, elementi antichissimi di cultura
classica.
Ma la cosa stupefacente è ora un’altra!.
Per indicare il muschio che dà quell’atmosfera magica al presepe e
alla nascita di Gesù nella grotta si usa,almeno nel dialetto del mio
paese,la parola “laurillo”.
Stranamente (ma,nel rapporto tra gli eventi, diventa
“funzionalmente”) si usa la stessa parola per la nascita di Cristo e
per l’omaggio alla sua morte.
Ad indicare alcune cose essenziali a livello teologico:
1) nascita e morte restano incompiute e sospese senza la
resurrezione
2) nella nascita c’è l’immediatezza e poeticità della natura (il
laurillo è il muschio); nella settimana santa c’è la consapevolezza
dell’uomo e la fatica della vita,nonché la delicatezza del sentimento
per la morte ( i laurelli, i cesti vengono fatti e portati dalle donne:
la sacralità della morte è gestita dalle donne nel folklore contadino)
3) “il lavoro” inteso come campo di grano ormai biondeggiante di
spighe mature è l’atto finale:Cristo anticipa ciò nell’ultima cena
dando proprio al cibo quotidiano del contadino aspetto salvifico,
diventando,nel pane e nel vino, corpo e sangue di redenzione.

Veramente,allora la redenzione è il capo-lavoro di tutta la storia!
C’è infine un ultimo aspetto linguistico legato a quanto sto
dicendo.
“Laurillo” significa anche “piccolo lauro”.
Lo si usa in cucina, lo si usa ,nella tradizione alta,come
incoronamento di generali, di poeti.
Forse al popolo la gloria,l’ufficialità della fama interessa poco;
interessa più insaporire e rendere profumate le cose del quotidiano.
E ciò, anche a livello metodologico e di vita, è un insegnamento del
popolo,molto evangelico: il Cristo non è tale nella gloria e nell’
ufficialità; resta oscuro, ma presente giorno per giorno nella fatica
del vivere,per dare conforto e speranza.

Gianni mazzei
Commento:
Molto efficace il rapporto Natale -Pasqua nella lingua del popolo che segna
poi il vero messaggio salvifico e messianico del Cristo,fatto uomo , per
prendere su di è i peccati del mondo ed assicurare la redenzione e la
resurrezione.
Auguroni per un anno ricco di tante belle soddisfazioni.
Adriana DE Gaudio

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