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mercoledì 4 novembre 2009

Trebisacce-04/11/2009: "Il suono della parola e l'etimologia" di Gianni Mazzei

Il suono della parola e l’etimologia.

Ci sono parole che, per se stesse, descrivono nitidamente e con estremo realismo le parole.
Se dico “ rutilante” io,nella combinazione indovinata di labiale e r, vedo il dinamismo del colore cromaticamente acceso e vivido.
La stessa cosa avviene se nomino una parola dialettale, della mia zona:” gummìla”, orciolo: l’oggetto nella sua frescura che conserva l’acqua e che nella “i” accentata mi fa vedere il gorgogliò della stessa quando,accaldato, prendo il recipiente appeso all’albero e l’acqua mi cola a garganella nella gola e per il petto,inebriandomi.
Certo, direte:sono considerazioni a posteriori, quando ormai si conosce l’oggetto, la sua funzione e quindi è l’esperienza che detta tali osservazioni.
Per me il discorso è un altro: c’è, nonostante la convenzionalità del linguaggio, una tale armonia, immediata, tra la mente che nomina gli oggetti e l’oggetto stesso, da dare credito al racconto biblico, allorchè Adamo, guardando animali e cose, ne sceglie il nome adeguato.
Mente e esperienza,come corpo e anima si influenzano a vicenda e a volta, per miracolo improvviso, pensano e agiscono alla stessa maniera.
Ci sono ,poi, parole che hanno una musicalità che tocca l’anima e ne indica,previene i movimenti suadenti,come segreto ritmo: l’aveva intuito, con felicità espressiva, il nostro Leopardi quando diceva che alcuni termini di per se stessi sono evocativi, quali rimembranza, lontananza ecc.
Nel ritmo blando e lento di tali parole si segue il contemplato momento di un percorso alberato, all’imbrunire, nel bosco, all’inizio dell’autunno con quel tripudio di colore rosso-ocra che dentro l’anima fa intuire la fragilità e l’evanescenza delle cose e del tempo.
Ognuno di noi, inoltre, ha parole che ne sollecitano suoni e accensioni sia mentali che corporei.
Personalmente, allorchè sento “lampeggiamenti” (meglio al plurale), la mia mente e il mio animo rizzano le antenne e si mettono in curioso ascolto.
E non è certo per accostamenti concreti: nell’infanzia si esperimenta il lampo connesso al tuono, con paura o con stupore e curiosità, magari con l’aggiunta del caldo raccolto del letto, giacchè i fenomeni indicati sono forieri di pioggia, cattivo tempo e quindi si sta riparati, riscaldati a casa.
Lampeggiamenti è fugare pigrizia mentale, polvere accumulata nell’animo e vedere immediatamente cose e visione nuove, da tempo aspettate.
Come, nell’ambito dei brividi del corpo, se dico “ nuda” ,dinnanzi alla mia fantasia sorge un corpo dolce, tenero e voglioso che accende la mia passione; ne seguo allora i lineamenti con lo sguardo e il tocco deciso delle mani, ne avverto i sommovimenti che parlano al mio cuore e che si concludono nell’amplesso finale.
Solo “nuda”: ed è la mia donna, quella concreta, il cui corpo si anima, al di là delle smagliature e degli anni; amare non ha tempo e non è rilegato alla levigatezza del corpo. La Venere di Milo, pur nella sinuosità e levità del marmo che indovinano il desiderio della carne, resta estranea a questa parola”nuda”, perché impersonale, senza il proprio esperire fatto di consapevole dialogo di mente e corpo.
Se dico “ nudo” ho o disgusto per il corpo che tende al disfacimento o avverto solo la bellezza formale dell’arte, nella contemplazione magari dell’Apollo di Policleto e la lucentezza morbida del marmo.
Altre parole, infine di agitano e diventano animate, se vengono sgrossate dalle scorie del tempo che ne mortificano lo splendore originario.
Prendete “ fantasia”.
A parte il fatto di grande approssimazione nel suo uso, per cui “fantasia” spesso viene inteso come “fantasticheria”, qualcosa cioè di inadeguato, mentalmente e moralmente, fuori dalla concreta realtà, più consone ad un sognatore sterile e quindi persona di poco conto, anche la stessa parola perde di fascino e brillantezza se non si scopre il suo significato originario.
E si fanno scoperte sorprendenti.
“ Fantasia” viene dal greco fos,fotos, luce.
Noi, occidentali, che,quasi con contrasto superficiale, vediamo la ragione come luce e la fantasia come evanescente tenebre, restiamo incantati dinnanzi a questa scoperta, che porta conseguenze di grande interesse.
Se fantasia è luce è innanzitutto dinamica e quindi ha curiosità, cerca, e rischiara un perocorso interiore.
E se è luce non si contrappone alla ragione, luce anch’essa, ma la esalta e la completa,come per San Tommaso la grazia completa la ragione.
La ragione è logica ,è metodo, è rigorosa: è essenziale alla vita, perché programma, individua le circostanze, sceglie i mezzi e le metodologie per raggiungere dei risultati.
Senza l’uso critico della ragione saremmo ancora nei buio dell’ignoranza, della superstizione, del mito inadeguato; e saremmo ancora nella società pre-scientifica.
Ma la parola “ fantasia”, nella sua derivazione etimologica, ci fa riflettere e capire l’inadeguatezza della stessa ragione: se la ragione è luce, da sola rischia di essere luce accecante, che invece di far vedere ottenebra e invece di rendere fertile la vita, come terreno zappettato e umido, la prosciuga e rende deserta.
La fantasia è la luce liquida, che sa mediare le variazioni cromatiche, che congiunge percorsi senza bruschi cambiamenti, che porta pioggia e fertilità e porta improvvise illuminazioni, felici intuizioni, lampeggiamenti e creatività.
Non per nulla il sommo poeta,nella sua opera dice: “ .. e poi piovve nell’alta fantasia”: la fantasia diventa un luogo interiore privilegiato, inaccessibile ai più e al grigiore del quotidiano.
E’ come la collina di cui parla Hegel da cui Napoleone domina le cose: la fantasia è la conquista iniziata dalla ragione , ma completata e legalizzata dalle truppe speciali della fantasia, intesa come il superamento della pura logica.
Piove e porta ristoro all’anima e porta frutti perché la sua luce è liquida: è luce mediterranea, crogiolo di diverse tonalità, equilibrio di diverse qualità per produrre l’unicum, nell’agorà della mente.
Ed è come “il grande triangolo acuto diviso in sezioni disuguali” di cui parla kandisky in “Lo spirituale nell’arte”: nel vertice c’è la fantasia, la vita, l’arte mentre giù è la normalità, un oscuro vaniloquio.
Il romanticismo aveva capito bene queste cose: c’è un’espressione bellissima di Schlegel in “Pagine per Raffaello” che è una sintesi mirabile di ciò che io sostengo: letizia della fantasia!
Una luce che si anima, che gioisce, che espande piacere e sapore della vita: ecco la fantasia, da fos fotos per come ne parla Aristotele.

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