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giovedì 25 febbraio 2010

Trebisacce-25/02/2010:"Il mare calmo della tranquillità" di Gianni Mazzei


Il mare calmo della tranquillità

Cosa ha fatto d’importante Adamo nel paradiso terrestre?
E quali fatti salienti ci restano di Adamo ed Eva nel paradiso
terrestre prima di esserne cacciati? Nulla, nemmeno una figliolanza,
come se la beatitudine vissuta in quel lasso di tempo, prima di cedere
alla tentazione di Lucifero, fosse sterile di futuro, consumata tutta
nella vita piena, beata, vissuta lì, tra latte e miele e la visione di
Dio.
Non c’è storia, non c’è futuro, non c’è progresso nel Paradiso
terrestre; e non c’è nemmeno identità, consapevolezza di esistere.
Lo dice con grande chiarezza quel genio solitario di Kierkegaard,
allorchè, parlando del destino dell’uomo, rimarca che solo il peccato
originale ci ha dato la possibilità di ex-sistere, uscire fuori dall’
indistinto divino, quasi una riedizione dell’aperion anassamandreo, per
emergere come individuo e personalità.
Certo, uscire fuori dalla protezione divina ci è costato: guadagnare
il pane col sudore della fronte, partorire da parte della donna tra i
dolori, vivere nella sofferenza e morire.
Ma ne è valsa la pena: non tanto per la felix culpa di cui parla
Agostino, giacchè la cacciata dal paradiso terrestre è consustanziata
di una promessa, la venuta del Salvatore e la redenzione dell’uomo.
Ne è valsa la pena a livello umano, laico, con l’avallo persino del
già citato Agostino: se fosse colpa aver mangiato dell’albero del bene
e del male, perché chiamarla felix?
Evidentemente non è colpa, mancanza morale verso il divino: è
ontologicamente l’unico modo per essere l’uomo se stesso, evolversi,
sentire la nostalgia dell’infinito, essere ebbro di Dio, ma seguire la
propria strada, con tutti gli scarti possibili che tale sentiero, irto
e impervio, comporta.
L’uomo diventa se stesso, e differentemente da come pensa Spinoza o
dice Fichte “ o noi o Dio dobbiamo tramontare”, l’uomo non tramonta se
nel suo orizzonte, come attesa,come ricerca, quel Dio esiste e agisce.
E questo avviene non solo nel grande disegno della storia umana, ma,
nel piccolo, in ogni individuo e in modo particolare nel rapporto tra
vita, conoscenza, amore.
E’ una triade laica indissolubile i cui elementi si lumeggiano a
vicenda e ne dilatano o ne immiseriscono il senso.
Il perno penso sia la “conoscenza”, altro logos che ci travaglia
dentro, indica strada, e sa zittire parole vuote.
Ed è la gittata profetica, la vastità e la profondità della
conoscenza, la sua ansia di ricerca che dà il significato vero dell’
amore: non si volge chi a stella è fiso diceva Leonardo.
Ora, chi sa vivere questa dialettica in modo divoratore e quasi da
febbre da cavallo è l’artista.
Con una precisazione di estrema importanza.
Ci sono artisti della vita nei quali il rapporto tra conoscenza e
amore è così perfetto, così convergente,senza scarti alcuni che
ritornano a vivere la beatitudine del paradiso terrestre: nelle ore
opere hai l’incanto della prima alba del mondo, avverti il profumo dell’
eterno, ma….
Ma, tutto si consuma in essi: non lasciano figliolanza, non creano
eventi, da loro non nasce la storia e non c’è sviluppo di un futuro.
C’è la pienezza del vivere, ma senza consapevolezza: l’innocenza
della vita li contraddistingue, ma non la fatica della conquista e
della virtù che è anche rischio, pericolo.
Solo l’artista non vive pienamente. E lo fa volutamente.
Invitato più degli altri alla mensa regale, non si sazia
compiutamente, sa lasciare i bocconi, i migliori, per sentire fame,
sentire il richiamo dell’assoluto che poi cerca nella macerazione della
sua carne: e allora diventa metafora, parola ammaliante, suono,
cromatismo, pensiero che indica strada.
L’artista non vive pienamente per conservarsi il meglio della vita,
come possibilità, da diluire luce stillante o tenebre profonda per chi
o vive pienamente o non vive affatto e proprio per questo non sentono
il richiamo essenziale dell’infinito.
Solo l’artista sa fare questo dono e perciò spesso risulta distratto,
risulta assente e quasi timoroso allorchè in lui si ripete il miracolo
di possedere tutto: rifiuta per conservare per sé e per gli altri, per
sempre, quel residuo di paradiso terrestre che i suoi occhi profetici
hanno visto, pur nella lontananza e nella nebbia della sera.
caramente,gianni

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