Perché la Cina fa l'occhiolino all'Italia
di Francesco Sisci
Cronologia articolo05 aprile 2011
Se ci fosse una guerra sarebbe come una trincea, una fossa scavata nella terra per resistere agli attacchi alla baionetta del nemico o lanciare fanti disperati e ubriachi contro le mitragliatrici e i covi di filo spinato dall'altra parte del confine. L'Italia per la Cina è un po' questo in Europa e nell'importantissimo e delicato mercato dell'euro: il Paese più debole di quelli più forti. Se cade l'Italia, l'euro e l'Europa non hanno speranza; se l'Italia resiste, l'Europa ricomincia da qui, insomma è la Caporetto o il Piave dell'economia continentale.
Questo il motivo oggettivo dell'interesse particolare cinese verso il nostro ministro dell'Economia Giulio Tremonti, sostenitore peraltro del più importante programma di collaborazione internazionale con la cruciale Scuola centrale del partito; e questo è il motivo sentimentale, che crea la fiducia di Pechino. La sponda che Tremonti ha così in Cina è senza pari: nessun altro Paese straniero gode di questo accesso a organismi così delicati in un Paese che rimane per molti versi ancora parecchio rigido e chiuso.
E l'interesse cinese per il ruolo dell'Italia è strategico prima ancora che puramente economico. Pechino è perplessa per il ruolo che le agenzie di rating, peraltro americane, giocano nell'attuale crisi europea. Alzano o abbassano il rating, e con questo fanno muovere in alto o in basso i tassi d'interesse sui buoni del Tesoro nazionali. Ma la crisi in corso è anche un'opportunità per l'Europa. Così Tremonti ha esposto la settimana scorsa ai cinesi della Scuola di partito i cambi nella politica economica continentale.
La Bce sta mutando il suo ruolo. Se prima doveva solo controllare l'inflazione, ora ha cominciato anche a intervenire sui mercati a difesa dell'euro. È stato varato un Fondo continentale che, insieme all'Fmi, interviene a sostegno dei Paesi in difficoltà. Tutti gli Stati s'impegnano a ridurre i deficit nazionali e da aprile comuncia anche una politica economica coordinata.
In questo modo si può viaggiare anche verso la futura emissione di un eurobond, un titolo del Tesoro europeo. Si eviterebbero quindi le trappole dei titoli nazionali soggetti a tassi variabili a seconda di come il mercato percepisce i rischi nazionali. Oggi, infatti, c'è più fiducia nei mercati rispetto allo scoppio della crisi finanziaria, ma i tumulti in Medio Oriente e il disastro nucleare in Giappone portano nuovi elementi d'instabilità, mentre gli Stati hanno già compiuto sforzi immani di finanza pubblica e sono quindi indeboliti e meno in grado d'intervenire di nuovo sui mercati. Questi elementi spingono a una grande allerta in un momento di enormi mutamenti.
Tremonti ha raccontanto di porre attenzione a tre fattori di cambiamento strutturale legati alla crisi passata. La tecnologia, con internet e telefonini, ha accorciato tempi e distanze; la geografia, con l'emergere di Paesi continentali come Cina o India, ha cambiato gli equilibri internazionali; e la finanza, con l'invezione dei derivati, ha cambiato le regole del gioco, mettendo spesso l'economia reale al servizio della finanza e non il contrario.
Il risultato di tutto questo è che oggi come forse non mai la finanza è fuori dal controllo di Stati e banche centrali e la "finanza ombra" diventa tanto più sfuggente quanto più si tenta di controllarla. Queste forze sono maggiori di quanto ciascun Paese da solo possa riuscire a controllare. Occorre più coordinamento fra tutti i Paesi, e in particolar modo fra le tre monete oggi più importanti, il dollaro, l'euro e il renminbi.
Per questo anche Tremonti e la Scuola del partito cinese si sono dati appuntamento per una conferenza a tre – europei, americani e cinesi – a ottobre a Venezia. Qui la capacità italiana di mediare, se compiuta ad alto livello, con una grande visione strategica, dovrebbe favorire il dialogo tra le varie parti. Ciò creerebbe un ruolo strategico per l'Italia, che poi fu quello della penisola nel Rinascimento.
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