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domenica 6 settembre 2009

Trebisacce-05/09/2009: Che tu sia per me il coltello e la ferita....

Che tu sia per me il coltello e la ferita.

Si nomina un oggetto per la sua funzionalità: il coltello è tale se taglia,separa,opera una ferita nell’integrità e armonia,sia esso pane, companatico o se agisce in un corpo.
Altrimenti arrugginisce, nell’inattività e se dovesse essere usato,servirebbe in modo maldestro se non, addirittura , procurerebbe danni mortali.
Tra ferita e coltello c’è un rapporto di funzionalità e di reciprocità: essi, come nella seduzione del tango argentino, si osservano, intercettano lampi di sguardi nerissimi,simbolizzati nella rosa in bocca del ballerino e prima era un coltello,per l’assalto finale al rivale cui infliggere la ferita.
O,come avviene,ritualmente,nel rapporto eros e tanatos, tra la spada luccicante del torero e la forza inquieta del toro,nell’arena della teatralità del vivere.
La funzionalità non avviene una volta sola, come avviene per un fiammifero che,sfregato e utile ad accendere, è poi da buttare perché inservibile: la ferita si rinnova allora all’infinito ,nel dinamismo dell’azione incessante del coltello e ne vedi stillare sangue vivo,rosso e fresco.
Per essere tale,la ferita non dev’essere mortale, ma,rimarginata appena, subentra la punta del coltello per rinnovarla,come nell’atto sessuale,il coltello (il membro) cerca e penetra la rossa e palpitante ferita(in alcuni dialetti:fissa,cioè aperta) dell’intimità femminile.
“Che tu sia per me il coltello e la ferita” pone diversi problemi ermeneutici.
Innanzitutto,il desiderio di una permanente inquietudine,una sofferenza, che,allontanando il grigiore del giorno, dia curiosità all’uomo.
E’ ciò che l’uomo, ontologicamente parlando,cerca: vivendo nella temporalità, a lui è possibile la felicità,non se aspira alla stasi e alla perfezione del dio: la felicità è appunto il dinamismo del tempo, il non acquietarsi.
Paradossalmente,solo se ferito,solo se sente l’angoscia del suo essere transeunte,è se stesso,ristabilisce il suo equilibrio di essere permanentemente “avvertito” nella carne di una ferita esistenziale e,ciò facendo,è felice.
In parte è la consapevolezza romantica che un’armonia è stata sconvolta con l’uscita dall’Eden e che la vita ha senso solo nell’eterna ricerca di essa,consapevoli però che è impossibile rimarginare la ferita e ritrovare l’integrità.
E’ anche la riproposizione della malattia mortale di Kierkegaard e della soluzione dell’angoscia,così vicina al modo di pensare di Pascal.
Del resto, il coltello non infligge una ferita mortale e definitiva,per non perdere la sua funzione; anzi,in alcuni momenti,infligge ferite salutari se il corpo ha infezioni purulenti e lo salva dalla cancrena:nell’animo essa è il sentirsi sazio,l’impigrirsi, l’orgoglio.
O anche svolge attività salvifica, allorchè, arroventato, tampona la stessa ferita .
Nel loro reciproco esserci,ferita e coltello sono oggetto e soggetto,il tu e l’io,il cielo e la terra,l’infinito e il finito,l’assoluto e il transeunte. O l’uomo e la donna,nel dono dell’amore.
Anche se gratuito,ogni autentico dono inquieta perché ti spinge al rapporto adeguato con l’altro.
E ciò nell’ambito dell’apertura e dell’indispensabile coesistere.
Giacchè l’unilateralità sarebbe deleteria ,per la sua solitudine e mancanza del confronto con l’altro:sarebbe,kantianamente, nell’ambito della conoscenza, o solo l’esperienza che risulta cieca, o solo l’intelligibilità che risulta vuota.
Che tu sia….
Il “tu” può essere innanzitutto l’animo,l’interiorità di chi esprime tale desiderio: agire (il coltello) non per una sofferenza gratuita(una ferita senza motivo e così profonda da far perdere speranza e senso del vivere), ma per quel senso di dinamismo, di ricerca,di oltrepassare gli orizzonti funzionale ad avere “umanità”.
Come può essere l’amato ,nel senso di rinnovarsi ogni giorno, non far si che la polvere delle abitudini chiuda la “ ferita” intesa come curiosità e apertura( la ferita è una fessura) e possa così cicatrizzare il sentimento,narcotizzandolo e coprendo il pus purulente come ogni piatta quiete nasconde.
E lo è,coltello e ferita,l’arte in quel suo mai acquietarsi, nell’innalzarsi,nella sua gittata profetica.
Gianni Mazzei

caro Gianni,
attendo con trepidazione ogni tuo scritto, e subito lo divoro e lo
inoltro ad altri amici per godere e gustare un prodotto genuino della
nostra terra, come il pane,, il vino.l'acqua...
i tuoi scritti reclamano non un breve commento ma un intero
dibattito, di quelli che sai organizzare tu,pellegrino nei centri più
improbabili e restii...a Cirò, Acri, San Demetrio, Villapiana,
Trebisacce,Roseto..
I tuoi scritti non sono un opus finito, ma una introduzione, una
scossa, uno scuotimento che preludono ad un intervento corale e
sinfonico, che andrebbe subito organizzato, ove gli amici a cui hai
inviato questa primizia, si diano appuntamento per partecipare ad un
rito collettivo di iniziazione, di catarsi,metanoia..riscoprendo la
corrente sotterranea che anima ogni dibattito culturale.
dovremmo trovare, noi lettori, sotto la tua guida, un luogo ove
discutere, o meglio raccontarci le emozioni e gli arricchimenti che i
tuoi scritti producono, e da quì partire per raggiungere terre
inesplorate.
insomma è un progetto che andrà meglio studiato in un incontro.che
andremo a stabilire.
intanto, sono in partenza per la Sicilia, verso Siracusa,
meta agognata dal Maupassant, per incontrare ( lui amato e amante di
infinite splendide parigine della Belle Epoque ! ) l'unica donna
veramente amata della sua vita, trascorrendo il tempo breve , nel
carezzarne il dolce e sinuoso fianco...
A presto.
un abbraccio

nino viscuso

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