domenica 1 agosto 2010
Trebisacce-31/07/2010:"La psicologia di un divorzio" di Gianni Mazzei
La psicologia di un divorzio
politico.
Parto dal presupposto che Fini abbia fiuto politico, conosce
avversari e amici, ha determinazione, ambizione e grinta e sa mediare
ma anche agire secondo le logiche del potere: del resto,oltre che
ministro, è stato per tanto tempo segretario di partito e al momento
opportuno ha saputo imporsi all’interno dello stesso, per scelte anche
impopolari, non consoni alla sua provenienza politica.
Fatta questa premessa,analizziamo la rottura all’interno del popolo
delle libertà e all’interno della politica italiana, visto che tale
dissidio ormai definitivo metterà in movimento altre compagini
politiche a cominciare dal PD.
Si può asserire senza ombra di dubbio che Fini dica delle cose
sensate,intelligenti,opportune, ma fuori dal contesto e dalle modalità
che il suo ruolo gli consentono di dire.
E in politica, come nella giurisprudenza, il ruolo che equivale alla
forma è importante quanto la sostanza.
Fini conosce Berlusconi da tempo: non si può addurre a suo discarico
la conoscenza superficiale, per come Berlusconi si muove nel campo
politico e governativo, che si può addebitare alla Lega che fece
cadere il primo governo di centro destra.
Fini conosce il ruolo, le competenze istituzionali, la prassi che
“ingessa” politicamente alcune cariche altissime dello Stato: ne
abbiamo avuto un caso nell’estrema correttezza di Bertonotti come
presidente della Camera che è costato, di rincontro, la liquidazione di
Rifondazione comunista,proprio perché venne meno la sua guida
illuminante.
Se come ora dice “Berlusconi è illiberale”, lo sapeva da tempo e
quindi,visto il suo acume politico, poteva e doveva optare
precedentemente per altri soluzioni politiche anziché confluire nella
casa delle libertà, e cioè
1) restare partito autonomo come ha fatto la Lega
2) non accettare la carica di presidente della Camera e continuare
all’interno del partito la sua azione politica,
3) ritirarsi e fare il notabile.
Penso,invece, che questo dissidio sia determinato soprattutto da
insofferenza psicologiche dei protagonisti e dalla volontà di entrambi
di essere prime donne.
Al di là dai ruoli, al di là dalla lettura della realtà italiana e
dalla capacità di agire in sintonia con essa per risolvere i problemi (
lo fanno solo gli statisti e certo né Berlusconi né Fini, con buona
pace della sinistra, lo sono) in questa crisi, che rischia di
diventare istituzionale per come verrà condotta dal premier, occorre
tener conto dei sentimenti delle persone.
Guardate: nel lontano 1994,facemmo un convegno, molto riuscito a
Trebisacce, sul Gentile.
Io mi occupai del rapporto, prima idilliaco e poi tempestoso, tra i
due massimi filosofi del tempo e della stessa appartenenza, l’
idealismo, cioè Croce e Gentile.
E scopersi,con mia meraviglia iniziale, leggendo le lettere, prima
della rottura definiva, filosofica,politica e forse anche umana, tra i
due,consumata sull’essere su versanti opposti rispetto al fascismo, che
molta insofferenza da parte di Croce ,che sfociò poi in posizione di
opposizione al fascismo di cui Gentile era l’ideologo, derivava da
aspetti spiccioli e personali, di cariche al governo e da contrasti di
intellettuali.
Se è successo a due grandi,penso che niente si possa eccepire in una
lettura psicologica di tal genere per le vicende di queste giorni tra
Fini e Berlusconi.
Fini aspira a quella carica che detiene Berlusconi: sa di non poterla
avere perché non ha i mezzi economici né il seguito né la
spregiudicatezza e la grinta di Berlusconi.
E allora si ritaglia un ruolo super partes per il prossimo futuro,
magari come candidato alla Presidenza della Repubblica, fidando nella
lealtà e disponibilità della sinistra, visto che sfascia un governo di
destra.
Sono giochi legittimi, però nell’ambito della convenienza dei
singoli, non certo della collettività: ambizione e invidia che non
sposano il bene della nazione non sono responsabili e giuste.
Ma il rammarico come vado dicendo da tempo non è tanto la guerra all’
interno della destra: il rammarico vero per chi crede nei valori della
democrazia, della solidarietà, di un mondo diverso dal selvaggio
capitalismo, è vedere una sinistra china e attenta ad ogni sospiro di
Fini come novello profeta e rinnovatore in cui identificarsi,
dimenticando ( forse perché mai conosciuti e mai cercato di
attualizzarli) i vari Gramsci, Marx o sulla scia del riformismo, i vari
Matteotti, Gobetti, La Malfa fino alla parola profetica di don Milani e
passando per Moro, Dossetti ed altri.
Che tristezza!
Gianni mazzei
trebisacce
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