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martedì 17 agosto 2010

San Demetrio Corone-17/08/2010: Inaugurazione della mostra di pittura di Michelangelo La Luna


oggi, alle ore 19, nel collegio di San Adriano a San
Demetrio corone, il critico vaticanista Giovanni Morelli e il critico
Gianni Mazzei inaugurano la mostra di Michelangelo La Luna, docente
universitario negli stati uniti,fondatore del centro internazionale di
studi deradiani che attualmente diretto da Gianni Mazzei critico, poeta e pittore.
Di seguito l'articolo di Gianni Mazzei

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IL TURGORE DEL
RACCONTO PITTORICO


Per anni, dopo le immagini stillanti luce di “Vjeshe Arbresh” (1999),
Michelangelo La Luna si è tenuto dentro quel colore vivo, giovane,
passionale.
Era sangue caldo fluente della diaspora di un’etnìa, quella albanese,
che si sostanziava ora del miele dolcissimo dei fichi sulle colline
seccagne della terra calabra, ora si rinsecchiva nel freddo della
lontananza e della morte o si liquefaceva nell’azzurro intenso del mare
o infine esplodeva come mortaretti nei chicchi del melograno, seducenti
come morsi acerbi di giovane donna.
Poi, improvviso, il colore assunse ritmo spaziale, si diede regole
nella campitura del quadro per sistemare emozioni, diventando racconto
di idee e cose che bruciano di un fuoco più bianco, senza però
rinunciare alla fresca luminosità di altri lavori.
E, allora, sapientemente amalgamando, nel vertiginoso cromatismo, il
lirismo primigenio, quasi stato evocativo, musicale, un’
“improvvisazione” chopeniana, con la linea ferrigna,mossa,disperata a
volta di Hemingway, nonché col vorticoso procedere di bolero di ravel e
infine con la terra assolata, immemore dell’Andalusia di Lorca,
Michelangelo La Luna ha raggiunto una rara immobilità drammatica,
metafisica da cui è esclusa, come rischio di marciume, la presenza dell’
uomo e della storia.
Guardate le colline e i calanchi che ci riportano al sud e alla
descrizione di Carlo Levi: gli alberi, nella spatolata grassa, assumono
la consistenza dell’arazzo ,mentre il marrone della terra sconfitta dal
sole cerca inutile refrigerio e una pioggia ristoratrice che mai
giunge, giacché “ la morte si sconta vivendo”.
È straordinario come Michelangelo sappia simulare in questo colore
fermo, acceso, compatto e lussureggiante tutta la fatica e la
precarietà del vivere e i buchi neri dell’anima.
Anche quando il brillìo del colore rasserena e si distende in momenti
idilliaci, sospesi nell’aria come volo di libellule, sente un’oscura
minaccia come un pozzo profondo che repentinamente ingoia la luce.
Michelangelo è ingordo di luce, di spazio, di tensione, di violare
limiti proibiti: è l’inquietudine dell’intellettuale, è la diaspora
duplice, del Sud e dell’etnia, è l’angoscia dell’uomo contemporaneo,
che,mentre la tecnologia inneggia alla conquista dell’universo, si
sente sperduto in questi spazi sterminati della mente, senza più
coordinate e porto di approdo.
Proprio per questo, il colore disciplinato dalla mente, per avere un
ubi consistam e dare certezza morale, si apre, in quei rossi, colate
di fuoco che incendia, a vistose macchie nere, come tarme o tumore
nascosto che all’anima, giorno per giorno, dà morsi da cane.
Ma, a volte, la tempesta si placa e il paradiso, diversamente dall’
Angelus novus di Klee, non si impiglia nelle ali, per cui il volo è
consentito.
Succede così che i pigmenti celesti, il giallo tenero che richiamano
affetti ancestrali: la terra nel turgore della spiga bionda di grano e
il grembo delicato e misterioso della donna, diventano allegri,
dialogano tra loro e ancora una volta l’incanto della vita e della
speranza si rinnovano, in “letizia del futuro” come dice Michelangelo
in una sua poesia.

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