L´unica scoperta: il ne quid nimis!
Succede che quando una scoperta viene divulgata si snatura,diventa
diluita, come sugo annacquato, per essere recepita da ogni singolo,
persino nei ceti mentalmente più semplici.
E´ il prezzo che si deve pagare, specie poi quando la scoperta è così
sconvolgente che finanche gli iniziati restano sconvolti.
A mio avviso, l´unica vera scoperta,che nonostante la sua
banalizzazione, resta sconvolgente ed inattuale ( tanto non è capita) è
l´assioma: ne quidi nimis, volto poi nell´ambito morale nel " il giusto
mezzo".
Che sia stata banalizzata, per far dormire sonni tranquilli agli
sciocchi e ai cosidetti accorti e prudenti lo si evince dalla sua
accezione più accreditata: il "in medio stat virtus" è inteso come
equilibrio, non eccedere, saper evitare gli estremi come scompensi e
vertigini che portano alla perdizione.
Ma quando venne vissuto, più che teorizzato, tale assunto, ed avvenne
in quel miracolo storico dell´Atene immediatamente periclea e poi
periclea nel suo vertice con già il verme della dissoluzione, stava a
significare altro.
Il ne quid nimis, il in medio stat virtus, non era limitazione nell´
ambito dell´agire umano, come non lo era ,nel suo aspetto speculare, il
rapporto inscindibilmente dialettico di calos cai agatos.
Per la prima volta e forse per l´ultima volta, il genere umano, senza
timore che uccide ma anche senza orgoglio sterile, riassume in sé la
pregnanza della sua creaturalità ( il corpo) e della sua divinità (l´
anima).
Uomo e dio,come dirà poi, in una felice intuizione, Nietzsche,
apollineo e dionisiaco, senza la vergogna,il tabù del corpo che viene
vissuto con una gioiosità unica e senza la perfezione,statica e
indifferente, della divinità.
Che sia un momento unico e forse l´unico momento creativo del genere
umano, e tutti gli altri solo dettagli o sfumature, lo si deduce dai
risultati, eccelsi in ogni campo, senza la prevalenza di un aspetto o
dell´altro.
Altri popoli, altre epoche noi li ricordiamo per peculiarità
evidenti: il popolo ebraico per l´unicità di un dio, il popolo romano
per il senso della legge da dare ai popoli e il sincretismo, nonché la
visione pragmatica della vita.
E così si dica di altri popoli, epoche addirittura uomini storici.
In Grecia, nella polis ateniese, presa come paradigma, c´è ogni
aspetto umano al sommo grado in cui il singolo, famoso o no, può
identificarsi.
Se si parla di coraggio e genialità militare, Maratona o Salamina non
hanno niente da inviare ad Alessandro Magno , a Cesare a Napoleone.
Se si parla di arte,in tutte le manifestazioni, Fidia o Apelle,
Sofocle o Aristofane, Erodoto o Tucidide non trovano uguali nemmeno nel
miracolo italiano del rinascimento o in altri secoli d´oro delle varie
nazioni europee.
E così si dica del pensiero con la triade Socrate,Platone e
Aristotele.
Il non andare oltre non è dunque un accettare il limite: sarebbe
negato storicamente da ciò che Tucidide dice degli Ateniesi, attratti
dall´ignoto e dal pericolo del mare per varcarlo ed essere se stessi.
Il ne quidi nimis è solo la consapevolezza, singolare, che si è
riuscito a creare la funzionalità di una duplice natura,umana e divina
da vivere senza sofferenza e senza arroganza.
Il centauro ci appartiene di più che ilCristo che ,pur prendendo la
natura umana, lo fa per redimerla e spiritualizzarla: si è nel mondo ma
non nel mondo.
Nel ne quid nimis c´è un Eden che non è perduto né si ha paura di
perdere: la saggezza sta nel vivere ,in modo assoluto,il presente, come
il popolo dei Feaci nel mito e come i Sibariti nella storia che,proprio
per questo, diventano mito.
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